Cosa sarebbe successo se
Il gioco del destino in "4321" di Paul Auster
di Giovanna Nappi / 25 marzo 2019
Sliding doors, impossibile non conoscerlo. Per un’intera generazione ha rappresentato un memo sulle scelte giuste e sbagliate, sulle conseguenze delle nostre azioni – e delle azioni altrui – sulla nostra esistenza. È andato pian piano insinuandosi quel meccanismo di pensiero per cui, ogni cosa fatta sarebbe tornata indietro, come un boomerang. Il famoso destino tanto decantato ci avrebbe lasciato un segno e sarebbe cambiato a seconda del nostro agire. Questa consapevolezza è poi maturata in comportamenti che definirei assennati, talvolta più per pigrizia morale che per scelta di valore. Abbiamo imparato (quasi sempre) a dosare le nostre azioni, a non mitragliare gli altri con comportamenti discutibili, a valutare le opzioni prima di agire. Se per noi questi comportamenti sono diventati naturali, quasi impliciti, nel passaggio dalla realtà vissuta a quella raccontata il gioco del destino è stato invece continuamente deturpato da sceneggiature pessime e pessime trame di romanzi che, pur nella pretesa di rendere universale il concetto, si sono dovute scontrare con una inevitabile mancanza di talento da parte degli autori. Finché, nel 2017, un libro rende tutto semplice e immediato, e lo fa attraverso una storia e un personaggio.
Sto parlando di 4321 di Paul Auster, edito in Italia da Einaudi. La pubblicazione di un volume dalle fattezze mastodontiche ha rivelato, a quelli della mia generazione, che esisteva la via per raccontare su carta il famoso cosa sarebbe successo se, e che andava solo letto.
Con 4321 facciamo la conoscenza di Archie Ferguson, l’eroe antieroe, al centro della sua vita e delle sue altre vite possibili, che Auster ha innalzato a protagonista di eventi personali – in cui chiunque si rivedrebbe – e di fatti storici di grande rilevanza. Ragazzo sveglio e dalle spiccate doti artistiche, Archie è l’essenza del verbo raccontare, declinato nelle tante letture che sin dagli inizi segneranno le sue giornate, nei film proiettati all’interno di cinema polverosi, nelle poesie che segneranno il suo cuore, negli articoli che scriverà per una giusta causa. Auster divide in quattro esistenze differenti la storia del suo uomo, e anche se apparentemente dispersivo si tratta in verità di un percorso di avvicinamento del lettore alla sua figura, percorso che non subisce arresti nel passaggio dalla prima alla seconda vita, o dalla seconda alla terza e così via, ma che si rinforza perché aggiunge un tassello al quadro complessivo. Archie reagisce agli input esterni in modi diversi, a seconda dello specifico momento in cui si trova, e si troverà a subire le conseguenze delle sue azioni in maniera differente, perché differente è il soggetto che le subisce e il contesto in cui si trova. Eppure, il tutto rientra in un quadro più grande, che può dirsi completo soltanto al termine dell’ultima pagina. Soltanto allora il bisogno di storie che ci contraddistingue da sempre verrà appagato.
Archie attraverserà proteste per i diritti civili, rivoluzioni violente contro la guerra, guarderà la sua famiglia distruggersi a causa del dio denaro e ricomporsi in virtù dell’amore dei suoi genitori; vedrà sogni infrangersi a causa di un incidente, sperimenterà le proprie pulsioni sessuali andando contro tutti; si dedicherà anima e corpo allo sport, alla poesia, alla letteratura, ad Amy. Auster lascia, come un Pollicino dei giorni nostri, piccole briciole lungo la sua narrazione, briciole che il lettore può decidere di ignorare, per godersi semplicemente il viaggio, o che può raccogliere per guardare alla destinazione.
Quattro vite non esauriscono ovviamente tutte le opzioni possibili per Archie. Moltissime altre vite sono state scartate perché queste venissero messe nero su carta. Ma ciò che andava comunicato, è arrivato chiaro e forte a chi ha letto questa storia. Auster ci ha fatto comprendere che mettere da parte i propri sentimenti come forma cautelare per se stessi, spesso è controproducente. Che amare incondizionatamente l’altro non significa essere corrisposti, o felici. Che seguire le proprie passioni può innalzarti a dio sceso in terra ma il momento può durare un attimo. Che tutte le scelte che decideremo di fare o di non fare sono un’arma a doppio taglio che con molta probabilità ci ferirà mortalmente, ma a cui non si può rinunciare. Se il gioco del destino sa giocare bene le proprie carte, Paul Auster non è da meno.
(Paul Auster, 4321, Einaudi, 2017, pp. 944, € 25.00 | Recensione di Giovanna Nappi)
LA CRITICA
Auster ci ha fatto comprendere che mettere da parte i propri sentimenti come forma cautelare per se stessi, spesso è controproducente.
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