Ritorno a Dublino

Intervista a Karl Geary su "Montpelier Parade"

di / 29 marzo 2019

Copertina del romanzo Montpelier Parade su Flanerí

Karl Geary è un attore e sceneggiatore irlandese all’esordio come scrittore con Montpelier Parade, pubblicato in Italia da Playground con la traduzione di Massimo Bentini. Un’opera prima che ha attirato non poche attenzioni. Geary ha dimostrato una capacità non comune nel ricostruire la Dublino degli anni Ottanta, sospesa tra miseria e crescita, con uno stile preciso e non scontato.

Montpelier Parade segue l’adolescente Sonny, garzone in macelleria di umile famiglia, che perde la testa per una donna più grande, Vera, misteriosa e bellissima, ricca e distante dal suo mondo. L’incontro con Vera apre un mondo nuovo a Sonny, fatto di possibilità mai pensate prima. Questi due mondi così lontani finiscono presto per attirarsi e scontrarsi in modo irreversibile.

Geary ha deciso di guardare indietro nel tempo per il suo esordio, tornando alla Dublino della sua adolescenza. L’autore ha lasciato l’Irlanda molto giovane, quando aveva l’età di Sonny. Si è trasferito a New York con solo un numero di telefono da chiamare e nessun contatto. Ha avuto una vita insolita, è entrato nel giro musicale lavorando nel leggendario club Sin-é, ha fatto il modello per Madonna nel controverso libro Sex ed è poi arrivato al cinema.

Lo abbiamo incontrato a Roma dove è ospite dell’Irish Film Festa e gli abbiamo fatto alcune domande su Montpelier Parade.

Partiamo dall’inizio. Nel primo capitolo del romanzo Sonny assiste alla morte di un uomo – un cliente della macelleria che viene travolto da un furgone fuori dal negozio. Quando Sonny lo raggiunge, già morto, steso sul marciapiede, gli sfila dalla tasca un pacchetto di sigarette e se lo prende. Non è un inizio comune. Ci sono molti elementi: la morte, l’istinto, la paura, la freddezza di Sonny in quel piccolo furto dal cadavere. Come mai hai deciso di far partire Montpelier Parade così?

La prima frase del libro è «Il mondo d’oggi è un posto spaventoso», ed è vero. La morte è ovunque. Sonny sta diventando un uomo, è ancora innocente ma è chiamato a fare qualcosa, perché Vera sta morendo.
Il piccolo furto è un’immagine vitale, serve a fissare due cose: prendiamo tutti qualcosa dai morti, prendiamo i loro ricordi, la loro esperienza, il loro sapere, e Sonny farà la stessa cosa più tardi con Vera; in secondo luogo volevo sfidare le convinzioni del lettore. Non c’è niente di macabro nel rubare da un cadavere. Sonny è povero, e la povertà richiede azioni pratiche. Non si può buttare nulla. Più avanti vediamo che regalerà quelle sigarette a suo padre, che adora segretamente.

Hai scelto un insolito punto di vista in seconda persona per il romanzo. Era la tua idea iniziale o ci sei arrivato durante la riscrittura o l’editing?

Non volevo usare la seconda persona. Ho provato con la prima e la terza, ma sentivo che mancava qualcosa. A un certo punto mi sono accorto che questa barriera del “tu” ci permetteva, stranamente, di avvicinarci a Sonny. La seconda persona ha creato un’intimità particolare, come se quella seconda persona non fosse il lettore ma un protagonista che non vuole o non sa fare i conti con il suo stesso racconto.

Ci sono tre donne molto diverse nella vita di Sonny. Sua madre, che prova a tenere insieme la famiglia mentre il marito butta i soldi nelle scommesse; la sua amica Sharon, che lo tratta sempre male e con un’onestà brutale; Vera, la misteriosa donna inglese benestante di cui si innamora. Tutt e e tre le donne sono fondamentali nella sua crescita. Tutte e tre le donne lo aiutano come possono, anche se sembra che gli stiano facendo del male, come quando sua madre lo prende in giro perché torna a casa con un libro. Parliamo di queste donne e del ruolo che hanno nella vita di Sonny.

Sì, sono tre donne fondamentali. Ci sono anche uomini nel romanzo, ma la loro presenza è a tratti violenta, o minacciosa. Sonny è diffidente, non sa bene come comportarsi con loro.
Sua madre ha il compito atroce di preparare i suoi figli al mondo che li aspetta, alla dura realtà delle loro vite. E lo fa, in modo inconsapevole, frenando i loro desideri, abituandoli a non volere più di quello che possono avere. Li protegge da quello che desiderano.

Ho letto che quando avevi vent’anni hai scritto un romanzo che non è mai stato pubblicato. Nel 2003 hai scritto il film Coney Island Baby e dieci anni più tardi un documentario. So che ti ci sono voluti più di quattro anni per finire Montpelier Parade. Hai in programma di continuare a scrivere in futuro, per il cinema o altri romanzi?

Grazie per la domanda. Dopo aver finito Montpelier Parade mi sono messo a lavorare all’adattamento per farne un film, e sono quasi tre anni che lavoro a un nuovo romanzo. Incrociando le dita dovrebbe essere quasi pronto.

Ti sei trasferito a New York quando avevi sedici anni. Negli Stati Uniti hai vissuto da subito una vita che potremmo definire parzialmente pericolosa e molto eccitante, dall’esperienza al Sin-é alle foto con Madonna e poi i primi passi nel cinema con Peter Fonda. Come mai hai decido di guardare indietro al tempo di Dublino per il tuo primo romanzo?

Parzialmente pericolosa?!? Mi piace! Sì, è vero, forse la promuoverei a particolarmente pericolosa! Sono arrivato a New York nel 1988, in piena epidemia di crack e AIDS. Avevo 16 anni, quaranta dollari e un numero di telefono. Forse un giorno scriverò di quel periodo, ci ho provato ma non ho ancora trovato il modo giusto. New York è un argomento sconfinato, può togliere spazio a temi più piccoli che mi interessano di più. Comunque, penso che quando lasci una città o un paese inevitabilmente ti rimane addosso, lo porti con te, e scriverne crea un altro tipo di problemi. I ricordi possono inciampare e portare troppo romanticismo, e non era una storia d’amore classica a interessarmi.

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