Liberato è più del fenomeno Liberato
L'esordio dell'artista napoletano
di Luigi Ippoliti / 31 maggio 2019
Il 13 febbraio 2017 esce un video girato da Francesco Lettieri, già autore tra gli altri dei video di Calcutta. La canzone si chiama “Nove maggio” ed è di Liberato, un ibrido trap/hip hop con il cantato in napoletano. C’è una ragazzina che si muove tra le vie di Napoli cantando e ballando. Nient’altro. Poi, nello stesso anno, il 9 maggio, esce il suo secondo video, “Tu t’è scurdat’ ‘e me” e lì, attorno alla storia dell’innamoramento di due ragazzi, si manifesta fisicamente Liberato. E lo fa come lo conosciamo ancora oggi, a due anni di distanza. Di spalle, con l’oramai bomber iconico con la scritta LIBERATO.
Il 9 maggio 2019 esce il suo primo disco, Liberato.
È sotto gli occhi di tutti che il grande clamore attorno a lui sia dovuto al suo avere un’immagine ma non un’identità, aspetto che lo separa da altri casi eclatanti di anonimato come quello di Elena Ferrante o di Banksy (per quest’ultimo, dopo i recenti fatti accaduti a Venezia, rimandiamo il giudizio).
Come si sono fatte ipotesi su chi ci possa essere dietro alla scrittrice de L’amica geniale (una su tutti, Anita Raja, traduttrice e saggista napoletana) e al più famoso street artist al mondo (da tempo si dice che possa essere Robert del Naja, leader dei Massive Attack), lo stesso è stato fatto per Liberato: dal collettivo formato da Shablo, Priestess, Calcutta e Izi, al poeta di Scampia Emanuele Cerullo, passando per il blogger Wad, fino a Livio Cori, che abbiamo visto duettare con Nino D’angelo a Sanremo e che al momento sembra il più quotato.
Liberato è la frattura tra identità e immagine, concetti amplificati e deformati a dismisura da internet e, chiaramente, dai social. Liberato è un cortocircuito: declinato alla musica, in quest’epoca quindi condivisibile attraverso Youtube e simili, viene cliccato e condiviso anche solo per la curiosità che produce la domanda Chi è Liberato?. Liberato svela, coscientemente o no, certi meccanismi perversi, coadiuvati dai social, che ruotano dietro al mercato della musica di oggi, che creano tendenze e mode. O addirittura veri e propri generi.
Anche Niccolò Contessa de I Cani, quasi dieci anni fa, ci aveva provato: il video con la sola foto di un cane de “I pariolini di diciott’anni”, quello di “Velleità” con i ragazzi con i sacchetti in testa e poi il sacchetto in testa nei primi live avevano scatenato una caccia a chi si celasse dietro a quel nome tanto comune quanto trasgressivo. Al punto che, all’inizio, si vociferava potesse essere un progetto di Max Gazzè o di Max Pezzali.
Ma erano altri tempi, i social stavano iniziando a svilupparsi e l’esperimento durò relativamente poco. Dall’adagio “I Cani, ma sono uno” che andava di moda in quegli anni parlando di chi fosse l’autore di “Hipsteria”, Niccolò Contessa negli anni si è appropriato dell’identità de I Cani, incarnandosi in qualcosa che da suo, filtrato dal dedalo che è internet, non era più suo.
Il progetto Liberato, invece, sembra basare la sua esistenza sul non avere un nome esaustivo (un nome e un cognome) ma ancora di più una o più facce. Liberato è un’idea che proietta un’ immagine (sia nei video, sia nei live) priva di identità. Un qualcosa di incorporeo, immateriale, intangibile pur essendolo corporeo, materiale e tangibile.
Spogliato di tutto questo, che comunque è parte necessaria per affrontare il discorso Liberato, rimane la musica. Il problema di fondo è proprio che la musica per Liberato non è tutto. Perché il suo (il loro?) album d’esordio ha da dire molto.
La musica napoletana è, erroneamente, oggi, accostata esclusivamente a un certo mondo neomelodico declinato a un immaginario cafone e criminale: matrimoni e Gomorra. Questo magari ha creato un certo pregiudizio su Liberato e sulla sua produzione artistica. Ma la musica napoletana, si sa, è ed è stata soprattutto altro: Carosone, Caruso, Murolo. Liberato attinge da lì, passando per le sperimentazioni di Nino D’angelo, quello della svolta etnica di A ‘nu passo d’’a città, fino ad arrivare a oggi, verso un sound che sta tra Jamie XX e SBTRKT. Dove il napoletano viene esaltato in tutta la complessa naturalità, nella bellezza derivata dalla sua poca intelligibilità per chi non lo mastica, nella sua musicalità
Dalla più famosa “Nove maggio” a “Je te voglio bene assaje”, da “Tu me fa ascì pazz’” a “Tu t’e scurdat’ ‘ e me”, siamo di fronte a brani iper ascoltabili al limite del ruffiano, ma che riescono a non infastidire mai, pieni di una coerenza stilista ben precisa e una cifra artistica difficilmente imitabile.
Chiunque ci sia dietro a Liberato, oltre all’enorme esperimento di marketing, ha dato vita a un lavoro importante che, al di là dei gusti personali, segna un ulteriore momento fondamentale degli ultimi 10 anni della musica italiana dopo I Cani, Calcutta e Ghali.
LA CRITICA
Con l’esordio di Liberato, siamo di fronte a una nuova pagina della musica italiana degli anni ’10. Lasciando perdere i discorsi sull’anonimato, Liberato è il miglior esordio possibile di Liberato.
Comments