La fine del gioco
Il finale di “Il trono di spade” è una grande delusione
di Francesco Vannutelli / 31 maggio 2019
[Se non conoscete il finale di Il trono di spade non troverete spoiler. Comunque, si fa riferimento a avvenimenti che succedono nelle stagioni finali della serie, per cui se non siete in pari e non volete brutte sorprese è meglio se non leggete]
Si è concluso pochi giorni fa Il trono di spade, la serie tv evento che ha risucchiato le attenzioni di un pubblico sempre più grande nell’arco di quasi un decennio. Per chi avesse vissuto in un altro pianeta, Il trono di spade è uno show targato HBO, ideato da David Benioff e D.B. Weiss, tratto dal ciclo di romanzi di George R.R. Martin Le cronache del ghiaccio e del fuoco.
Parliamo di un’epopea fantasy in una terra immaginata con molti elementi di realismo – politica, sesso, violenza – e qualche elemento magico – draghi e non morti.
Sin dalla sua prima messa in onda nel 2011, Game of Thrones ha raccolto consensi per l’enorme qualità del prodotto. Grande scrittura, attori in parte, effetti speciali sempre più grandiosi e una trama complicata e piena di elementi collegati in un intreccio mai banale e di grande fascino.
Potendo contare sul supporto dei libri di Martin – 5 tomi di circa mille pagine l’uno pubblicati a partire dal 1996 – Weiss e Benioff hanno avuto vita relativamente semplice nel costruire il mondo televisivo del Trono di spade. Si sono presi le loro libertà, adattando e deviando dal materiale romanzesco, e hanno creato un prodotto tra i più riusciti della storia dell’intrattenimento.
Ci sono state altre grandi serie di successo, ma come Game of Thrones mai. È il primo prodotto di un’epoca diversa, di internet veloce e social network, di blog, indiscrezioni e teorie. È stato uno spettacolo capace di cambiare le abitudini e di creare un culto collettivo che ha finito per essere il problema più grande della serie stessa.
Ci sono due fasi del Trono di spade. La prima arriva fino al 2015 e coincide con la messa in onda delle prime cinque stagioni tratte da altrettanti libri di Martin. Dalla sesta in poi, nel 2016, gli showrunner hanno dovuto andare avanti senza il supporto dei romanzi, visto che gli ultimi due volumi della saga sono ancora in fase di scrittura.
Questa frattura tra le due fasi è coincisa, anche, con l’aumento esponenziale dell’attenzione del pubblico verso la serie. Il cliffhanger con cui si concludeva la quinta stagione, con uno dei protagonisti, Jon Snow, a terra agonizzante dopo essere stato pugnalato apparentemente a morte, ha scatenato la caccia agli indizi sulla sua morte. Si è propagato un chiacchiericcio che ha amplificato il successo e le aspettative per la sesta stagione, che probabilmente è stata una delle più riuscite di tutto lo show.
Sembrava che, senza i libri, la serie potesse andare avanti con ancora maggiore vigore. La settima e l’ottava stagione hanno però mano a mano deluso le aspettative, lasciando molti spettatori con un senso di profonda amarezza.
Siamo arrivati all’esagerazione di petizioni online per chiedere che l‘ultima stagione venga riscritta e rigirata.
La qualità è calata in modo drastico in quello che era l’elemento più forte del Trono di spade: la scrittura dei personaggi, delle loro sfumature e della loro complessità. C’è un primo livello di protagonisti che attraversano, ognuno in modo diverso, un arco narrativo fatto di traumi, sconfitte e crescita, e un secondo, ancor più popolato, di personaggi che si portano appresso ferite da vite precedenti, come i due grandi cospiratori Varys e Lord Baelish, come Brienne di Tarth o il Mastino.
Le stagioni a marchio Weiss e Benioff hanno spazzato via i personaggi di seconda fascia, uno degli elementi di forza di tutta la serie, relegandoli a ruoli marginali e quasi macchiettistici rispetto alla loro tormentata grandezza.
È questo il difetto più grande del Trono. Ha perso la capacità di raccontare personaggi ambigui e renderli comunque interessanti. Lo scavo è sparito, rimane la superficie, e un affanno continuo a compiacere il pubblico dandogli quello che si aspetta. Da un lato, un esplosione di momenti romantici senza nessuna costruzione e credibilità, primo tra tutti la relazione tra Jon Snow e Daenerys. Dall’altro un susseguirsi di colpi di scena che hanno il solo scopo di stupire, non di spiazzare come succedeva nelle stagioni migliori. Sono diventati puri espedienti per levare di torno trame e personaggi troppo complessi da mandare avanti.
Il finale di Game of Thrones sembra un paradosso rispetto a tutto quello che aveva impressionato della serie fino a quel punto. Il pubblico non era mai al sicuro, le coordinate classiche della serialità televisiva non servivano a nulla per orientarsi nei reami di Westeros. Le due stagioni conclusive sono invece schiacciate dal peso delle aspettative del pubblico, dall’attenzione morbosa a ogni dettaglio trasformata in puro e semplice gioco di rimandi, dalle teorie dei fan, dalla caccia ossessiva al momento sensazionale per svoltare la puntata.
Eravamo abituati alle esplosioni, sono rimasti i fuochi d’artificio.
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