Le parole (inventate) sono importanti
“Vocabolario minimo delle parole inventate”, a cura di Luca Marinelli
di Martin Hofer / 18 luglio 2019
Parole proibite o impronunciabili, neologismi e onomatopee, scherzi condivisi e codici carbonari. Da «amulico» a «zipzappare», il Vocabolario minimo delle parole inventate (Wojtek Edizioni, 2019) curato da Luca Marinelli raccoglie ventidue racconti, uno per lettera, in cui la parola torna a essere «atomo strutturale» e motore della scrittura.
A prima vista potrebbe apparire un divertissement ma, a guardarlo meglio, il Vocabolario ricorda più una dichiarazione di resistenza, un atto di ribellione nei confronti di quei recinti di significato dove le frasi fatte, i meme, le emoticon e tutte le altre forme di “economizzazione” del pensiero sono liberi di pascolare in tutta pigrizia.
In questi racconti, non sono le parole a giungere in soccorso del lettore, ma è il lettore a dover compiere lo sforzo di entrare in un lessico che, nella maggior parte dei casi, non viene definito, ma si presenta come già acquisito dai personaggi.
Forte della lunga militanza nel mondo delle riviste online (Verde e Narrandom) Marinelli chiama a raccolta alcune delle voci che negli ultimi tempi hanno animato la famigerata “lit-web”. Molti esordienti puri, diversi rookies (Simone Lisi, Andrea Zandomeneghi, Lorenzo Vargas, le autrici di casa Wojtek Anna Adornato ed Emanuela Cocco), una manciata di scrittori più esperti (Simone Ghelli).
Marinelli non sembra ricercare a tutti i costi un’idea di compattezza ma, al contrario, accorda agli autori massima libertà sia nella scelta stilistica, sia nella modalità attraverso cui declinare il tema: c’è chi si lancia in approfondite ricostruzioni storico-etimologiche (Zandomeneghi in “Queleticismo”, Paolo Parente nell’esilarante e credibilissimo resoconto etnografico “Napolaggiare, napoleggiarsi”), chi chiama in causa il mondo dello spettacolo e dell’editoria, trascinandolo in una dimensione tanto contraffatta quanto verosimile (Pierluca D’Antuono in “Hibrisifico”, Francesco Quaranta in “Inculcraniarsi”), chi attinge a parole inventate già canonizzate (“Okkupare” di Alfredo Palomba) e chi inserisce il termine nel fondale di un racconto non necessariamente pensato in funzione della raccolta (“Betavita” di Francesca Corpaci, “Robbantare” di Federica Sabelli, “Memolabile” di Gianluca Bartalucci).
Qualsiasi sia la strada imboccata, il risultato finale è in buona parte dei casi riuscito. Oltre a Parente, si distinguono in particolare altri due racconti: “Amulico”, noir e folklore maledetto in classico stile Alessio Mosca – autore ormai pronto per il salto editoriale – e “Gravicoma”, una favola grottesca perfettamente calibrata nei dialoghi e nell’ironia da Claudia D’Angelo.
Vocabolario minimo della parole inventate è innanzitutto una raccolta di buoni racconti nella quale l’invenzione di parole diventa occasione per giocare con la scrittura, sperimentare stili, immaginare mondi appena un po’ più assurdi di quello che abitiamo.
(Vocabolario minimo della parole inventate, a cura di Luca Marinelli, Wojtek Edizioni, 2019, pp. 166, euro 14, articolo di Martin Hofer)
LA CRITICA
Ventidue racconti per ventidue parole inventate. Non un divertissement, ma un progetto di re-invenzione del linguaggio a partire dal caos premeditato di un non-vocabolario che spazia fra stili, generi e modi differenti di intendere la scrittura.
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