Le conseguenze del cuore
Intervista a Peter Cunningham
di Marzia Perini / 24 settembre 2019
«Va’ dove di porta il cuore», «al cuor non si comanda». Ma seguire il cuore non è del tutto indolore, lineare o privo di imprevisti. I suoi effetti possono rimodulare sentieri intrapresi, imporre divagazioni e deviazioni, presentare curve, dossi o fermate che determinano scelte e rinascite. Che fanno crescere segreti e dubbi o, peggio, sospetti e sotterfugi.
Seguire il cuore, insomma, porta con sé delle conseguenze di cui bisogna prendere atto. Materiale prezioso per ogni romanziere, che nella penna dell’irlandese Peter Cunningham, tra i più prolifici scrittori europei, vincitore nel 2013 del Prix de l’Europe, ha trovato un delicato narratore.
Non solo per i palati europei, ma questa volta anche per quelli italiani: da settembre 2019, grazie a SEM e all’attenta traduzione di Laura Grandi, è nelle librerie italiane pronto a soddisfare i lettori amanti di quelle storie che sanno non solo di cuore, ma anche di saga.
Le conseguenze del cuore infatti è uno dei romanzi della quadrilogia che ha come sfondo Monument: piccola città immaginaria (ma non troppo) del sud dell’Irlanda, con le sue scogliere, le sue verdi radure e brughiere. Sfondo adatto e sconfinato dei mille moti dell’anima.
Chud Conduit, figlio della passione e rampollo di una delle famiglie borghesi più in vista di Monument, Rose Bensey, bellissima figlia dell’allibratore locale dall’indole libera e forse indomabile, e Jack Santry, figlio forse un po’ timoroso di un generale di sua Maestà, sono i tre ragazzi, poi adulti e infine anziani, protagonisti della storia di Cunningham – vertici di un triangolo che ha come lati amicizia, amore e passione, che segue e influisce sull’intero arco della loro esistenza.
La narrazione inizia infatti negli anni Trenta del Novecento, prosegue attraversando le fila delle guarnigioni del D-Day, svoltando per le molte crisi economiche degli anni Cinquanta, Sessanta e Ottanta, fino alle soglie dei nostri giorni. E Chud, Rose e Jack, calati in relazioni simbiotiche, intrecciano le loro esistenze divenendo carnefici, e spesso vittime, delle conseguenze a cui li ha condotti il cuore – atti di passione, di coraggio e di violenza che li pongono innanzi a scelte immediate, crudeli e decisive capaci di mantenerli sempre vitali fino alla fine.
Un racconto ricco di colpi di scena, descrizioni e scene piacevoli alla lettura, con dialoghi immediati e asciutti, impreziosito da uno stile snello, fluido che conquista e che ha fatto definire l’autore da molti critici europei come «l’Hemingway irlandese». Una definizione che trova conferma anche in una traduzione italiana attenta, che non snatura ma ricalca finemente l’asciuttezza sassone percepibile nelle molte atmosfere che echeggiano i classici della letteratura inglese.
La storia di Cunningham, che mai cede allo scabroso o al perverso (sarebbe stato facile), dà voce alle molte sfaccettature dei tre protagonisti. Viva in ognuno di loro è la lotta per comprendere la corretta via da seguire e accettare le conseguenze che ne derivano. Ma non come “una inevitabile rassegnazione” ma accettazione di una vita che non rinnega mai il fermo e fedele legame di amore e amicizia che li unisce.
Un legame che non è solo quello immediato tra Chud, Rose e Jack, ma che si dilata e si completa con la città di Monument che passa da scenografia iconografica a vitale protagonista.
L’autore ne ha parlato nel corso di un incontro con la stampa in occasione di PordenoneLegge 2019.
Potremmo partire proprio dalla città. Monument ha già nel nome spessore di simulacro fisso, impassibile, in cui lei ambienta non solo Le conseguenze del cuore ma l’intera quadrilogia (The Sea and the Silence, Tapes of the River Delta, Le conseguenze del Cuore, Love In One Edition). Sin da subito però non lo si percepisce come semplice luogo immaginario, ma ha il sapore del vero. Come ha costruito questa città, che da ambientazione è diventata essa stessa quasi un personaggio?
Grazie per la domanda. Monument in realtà è la città di Waterford nel sud-est dell’Irlanda dove sono cresciuto, e dove sono rimasto fino all’età di diciassette anni. È la città di mio padre e di mio nonno: tra l’altro una città di un certo rilievo storico, la più vecchia d’Irlanda, fondata dai vichinghi.
Ho deciso di ambientare una serie di romanzi in questa città, ma l’ho allo stesso tempo anche cambiata, perché, sì, la conoscevo ma volevo averne il completo controllo: volevo che la città stessa fosse uno dei miei personaggi. Di qui la cartina che c’è all’inizio del libro, in modo che i posti fossero quelli validi per l’intera serie di ambientata a Monument (confido che presto anche gli altri tre romanzi siano tradotti in italiano). Ma ribadisco che Monument è il “nome d’arte” di Waterford.
Come si inseriscono i suoi personaggi in questa città?
Loro in realtà scaturiscono dalla città stessa. Io ci metto tantissimo tempo per creare i miei personaggi. Li creo, so più o meno come voglio che diventino. Però poi li rivedo, li ripenso, li cambio nuovamente. Ci vogliono nove mesi, o anche un anno, per creare un personaggio. Creare dei personaggi è un po’ come farsi dei nuovi amici: si va in un posto nuovo, si conoscono persone nuove, si cerca di allacciare delle nuove conoscenze. Però non si può chiamarle amicizie troppo presto, nel senso che è abbastanza improbabile che le primissime conoscenze che si fanno siano quelle che rimangono le tue amicizie dopo un anno.
Veniamo alla storia: Rose sposa Jack, ma potrebbe sposare anche Chud, da cui sembra più attratta. Quindi la scelta evidenzia da subito più interesse che amore?
Credo che sia una combinazione di cose: Rose lo sposa perché le circostanze sono favorevoli, perché c’è un’opportunità favorevole, ma anche perché lo ama. All’interno del triangolo composto da Chud, Jack e Rose tutti e tre si amano. È chiaro: sposare Jack invece che Chud dà una maggiore opportunità economica, ma anche e soprattutto sociale. Noi tutti quando decidiamo chi sposare prendiamo una decisione difficile e non la prendiamo con leggerezza. Nel momento stesso in cui prendiamo questa decisione abbiamo sempre il dubbio di non aver fatto davvero la scelta giusta.
Nel leggere Le conseguenze del cuore ho apprezzato molto questo aspetto del triangolo tra Jack, Chud e Rose: amicizia, amore e complicità a tutto spettro, quasi come se si completassero uno con l’altro e in presenza dell’altro. Singolarmente appaiono poco coraggiosi, incompleti. Dietro queste incompletezze c’è una volontà di spiegare attraverso i protagonisti come l’amore nelle sue tre sfaccettature (amore fraterno, amicizia e amore passionale) possa completare le persone?
Magari. Spero di essere riuscito a portare al lettore tutto ciò che lei ha visto, e se lei l’ha visto forse sì. Come ha detto lei, è un romanzo sull’amicizia ma anche e soprattutto sull’infatuazione. È vero, lo abbiamo anche detto poco fa, Rose sposa Jack ed è amante allo stesso tempo di Chud. Ma quando Jack va a New York per curare in qualche modo quella che potremmo definire sindrome post-traumatica da D-Day, tra i due amanti le cose si intiepidiscono molto. Chud perde interesse, quasi avesse bisogno dell’emozione del tradimento.
Ma perché sono così perversi, perché ha fatto così questi personaggi?
I loro rapporti e il loro comportamento certamente portano scandalo in una cittadina come Monument. Il loro triangolo può certo essere accolto con disapprovazione. E anche questo per Chud, Jack e Rose è una sfida da affrontare assieme: è qualcosa di eccitante. Non dimentichiamoci chi sono i personaggi del romanzo: Chud è uno che gioca d’azzardo e il padre di Rose è l’allibratore di Monument. Quindi l’eccitazione è una parte fondamentale della loro vita.
Questo è un romanzo epico, un romanzo di questo tipo può essere ambientato in un momento drammatico della storia come la Seconda guerra mondiale?
La storia è costellata di eventi drammatici, questo romanzo copre un lasso di tempo che io come persona non ho potuto vivere per evidenti motivi anagrafici. Ma mio padre è stato presente al D-Day, e ho usato tutti i documenti da lui redatti e raccolti sull’argomento.
Oggi una storia di questo tipo epico e storico ha ancora senso di esistere. Il D-Day è solo un frangente storico occasionale che potrebbe essere sostituito da un qualsiasi altro evento. Quello che importa è la storia dei personaggi, la loro eccitazione nel vivere la loro vita. Per completare devo anche dire che il romanzo non è assolutamente autobiografico o biografico.
Ma allora per lei, nella costruzione della narrazione, è più importante la parte dei personaggi oppure la parte storica? Penso anche ai titoli non ancora tradotti in Italia, dove la parte storica è sempre preponderante e la narrazione sembra essere quasi una scusa per narrare altro o di altri.
Al centro ci sono sempre le persone. La buona letteratura da sempre ha avuto attenzione per il personaggio, ma è anche altrettanto chiaro che le persone vivono in un momento storico. E quindi il momento storico c’è, esiste e deve esistere nella storia. Se poi la domanda è perché ho scelto questi momenti storici anziché altri, le ragioni sono molteplici: personali, perché vi sono legato attraverso i miei genitori o per il cambiamento che c’è stato in Irlanda. Per me comunque vengono sempre prima i personaggi che la trama. Trama che in inglese è plot, che tra i vari significati ha anche quello di “luogo dove si viene sepolti”.
Una curiosità: Chud nasce dalla passione della madre per un marinaio di origini italiane, napoletane nello specifico.
Buona domanda. L’Irlanda in quel momento del Ventesimo secolo era un luogo chiuso, direi quasi oscuro per via della situazione economica, per la Chiesa e per altre ragioni. Chi arrivava da fuori Waterford veniva inevitabilmente dal mare. Questo vale non solo per il padre di Chud ma anche per Bruno, l’altro personaggio “esotico” del romanzo. Un po’ è vero: ripercorro lo stereotipo dell’uomo del sud. Ma immaginiamo che sia un italiano che arriva per mare.
Una domanda che un po’ esula da Le conseguenze del cuore, per avere un quadro più ampio sulla sua opera, che inizia solo con questo romanzo ad apparire sulla scena editoriale italiana. Ho letto che il suo primo libro era un thriller. Perché poi si è spostato su un genere più narrativo?
Ho iniziato a scrivere durante una vacanza, dopo che ero stato derubato. Ho scritto le mie prime 35000 parole sull’onda di questo evento. E da lì ho scritto un libro all’anno per cinque anni scrivendo sotto pseudonimo, perché avevo anche un altro lavoro e avevo il terrore di diventare famoso subito e legato a un’immagine di libro e di scrittura. Ma ho compreso forse subito i limiti, almeno per me, di questo genere. Poi uno dei miei figli è morto a seguito di un incidente stradale negli anni Novanta e mi sono chiesto: «Voglio davvero continuare a scrivere di queste cose o voglio scrivere qualcosa che io stesso avrei voglia di leggere?» e ho cambiato genere.
Ci sono progetti di fiction o di film sulla sua quadrilogia? Ha un regista che si augura possa dirigere una sua storia sul grande schermo?
Ci sono dei progetti, non su questo romanzo ma su altri due. Teniamo le dita incrociate, non ho preferenze perché non sono io a decidere. Ma spero in una buona trasposizione.
(Peter Cunningham, Le conseguenze del cuore, SEM, 2019, trad. di Laura Grandi, 432 pp., euro 18, articolo di Marzia Perini)
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