Sappiamo cosa farai da grande, Lucio
A proposito dell'ultimo album di Lucio Corsi, "Cosa faremo da grandi?"
di Luigi Ippoliti / 22 gennaio 2020
Lucio Corsi è bravo. Lucio Corsi è molto bravo. Lo si capiva già con il suo primo album, Bestiario musicale; lo si comprende ancora di più oggi con il suo Cosa faremo da grandi?. Se avesse passato gli ultimi dieci anni nascosto in una cascina della maremma senza internet la reazione di chi lo ascolta non sarebbe potuta che essere: “Bè, come avrebbe potuto scrivere altrimenti una cosa del genere?”. Sembra non essersi reso di come sia mutato il panorama musicale in questi tempi.
Si è messo in mezzo a qualcosa che sembrava più grande di lui, ma che ora dovrà fare i conti con lui. O almeno la speranza è questa. Che questo lavoro possa provare a scardinare certe regole della normalizzazione della banalità.
Lucio Corsi ha sicuramente avuto la fortuna di esser capitato tra le mani di Francesco Bianconi, che lo tratta come una sorta di figlio e che in quest’ultimo lavoro è stato il produttore. E si sente il tocco del leader dei Baustelle. Sarebbe stato impossibile diversamente.
Bianconi, però, non è stato ingombrante, anzi. È stato capace di far splendere Lucio Corsi, facendogli fare un salto enorme in avanti rispetto al suo giovanissimo passato. Cosa faremo da grandi? è chiaramente un’evoluzione di Bestiario musicale.
Lucio Corsi è un rischio. In un mercato che ha trovato l’ennesimo modo per produrre soldi, l’itpop, l’indiestream, Lucio Corsi è più che un rischio. Lucio Corsi è un enigma che si insinua tra le crepe del mercato e, di riflesso, tra quelle di un pubblico sempre più confondibile.
Un ponte tra sé e chi lo ascolta lo ha iniziato a costruire con la sua immagine. Siamo d’accordo su questo. Discorso che viaggia in parallelo con Liberato: mentre l’artista che canta in napoletano finge di sottrarre la sua immagine (sottraendo la sua identità), Lucio Corsi esaspera la sua immagine ed esaspera la sua identità, andando a calcare questa sua androginia, giocando a fare il David Bowie, cercando di turbare. (Altro parallelismo con Liberato riguarda i video: da Cosa faremo da grandi? esce un mediometraggio diretto da Tommaso Ottomano con Lucio Corsi protagonista).
I discorsi sull’immagine, però, possono suonare un po’ come quelli sulle copertine parlando dei libri. Perché parlare di come L’eccentrico Lucio Corsi sia diventato anche testimonial Gucci trova un po’ il tempo che trova. Sì, Lucio Corsi può sembra un po’ strano vestito in quel modo, qualcuno dirà pure “Ma chi crede di essere questo, Marc Bolan?”. Ma ci interessa davvero? Ma poi strano per chi? Meglio interessarsi a quello che scrive.
Già Bestiario musicale è un’idea folle solo da pensare, oggi. Ancora di più lo è metterla in pratica. Quell’album che sembrava un quadro di Antonio Ligabue messo in musica da un racconta fiabe allucinato. Quella fuorviante infantilizzazione del pop cos’era se non un suo tentativo di metterci alla prova. A quale specie si riferiva Lucio Corsi? Dietro a un universo costellato di immagini proto infantili di un mondo fatto di animali e insetti usciva fuori una narratore potente e denso di significato, che parlava di esseri umani.
Questa sorta di Ivan Graziani messo in Velvet Goldmine con Cosa faremo da grandi? scrive uno dei migliori album italiani degli ultimi anni. Senza senza, senza ma. Abbiamo tutto quello di cui abbiamo bisogno in un album. Una voce sicura, vera. Possiamo scomodare un aggettivo pericolosissimo: autentica. Ma che addosso a Lucio Corsi sta bene. Un linguaggio che sembra muoversi con le logiche sconnesse dei sogni, assemblato per assonanza di immagini, per nulla conforme con quello che c’è in giro. E in questo può ricollegarsi paradossalmente a Vasco Brondi. Uno indirizzato verso il Paradiso, l’altro verso l’Inferno. Un’orecchiabilità sincera, non facilona o fastidiosamente costruita per rimanerti in testa come il jingle di una pubblicità. A completare il tutto, l’autore di Pigro presente come bellissima ispirazione.
“Cosa faremo da grandi?”, il brano d’apertura, è l’esempio di come oggi dovrebbero essere scritte le canzoni. Di come dovrebbe essere fatto il pop, che sorregge una poesia esistenzialista che si prende la responsabilità di ciò che dice. Senza lasciare il tutto a un generico menefreghismo tanto è uguale. Sommiamo questo, poi, al contrasto con l’acidità della chitarra di “Freccia Bianca” e Lucio Corsi realizza uno dei migliori incipit possibili.
Cosa faremo da grandi? si muove tra ballate e immagini oniriche che vanno a sbattere costantemente (“ci sono troppe pareti, troppi muri dove sbattere la testa” canta in in “Freccia Bianca”) contro la concretezza di ciò che pensiamo come realtà, attraverso una lingua che cerca di innalzarla verso qualcosa che si spinga al di là della fisicità, del dolore e dalla sua triste finitezza, per consolarci. Per allietarci, tenendoci comunque sempre sull’attenti. Perché è vero, nemmeno da vecchi sapremo cosa faremo da grandi.
C’è poco da fare: Lucio Corsi ha addosso quella materia incorporea, quella magia rara. Lucio Corsi è semplicemente la speranza di una nuova generazione di cantautori.
LA CRITICA
Splendido Cosa faremo da grandi?, il secondo album di Lucio Corsi. Con Bestiario animale aveva gettato i semi per qualcosa di più grande. La carriera dell’artista toscano si apre a scenari luminosi.
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