Non bisogna mai scherzare con la Storia
“L’attentato di Sarajevo” di Georges Perec
di Veronica Giuffré / 27 aprile 2020
Esistono innumerevoli modi per dirsi addio, così come per riapparire dai meandri polverosi della memoria, e L’attentato di Sarajevo di Georges Perec ne conosce almeno tre. Perché per arrivare alle stampe – postuma, nel 2016, per le Editions du Seuil – la prima prova narrativa dello scrittore francese ha dovuto affrontare un percorso tortuoso: dal dattiloscritto di una vecchia compagna di liceo di Perec, passando per la copia carbone di un esemplare posseduto dal pittore serbo Mladen Srbinović, fino a due fogli di bozza – conservati tra i libri rari del Fondo Georges Perec – che documentano un soggiorno dell’autore in Jugoslavia, dall’agosto al settembre del 1957.
L’attentato di Sarajevo – arrivato in Italia nel 2019 per i tipi di nottetempo, nella traduzione di Angelo Molica Franco – è il frutto di un lavoro di collazione tra ripensamenti, correzioni e cancellature, che consente di sbirciare attraverso l’officina dello scrittore, appena ventunenne al tempo della stesura. E dà un’idea del lavoro di cesello attraverso il quale Perec già iniziava a esercitare la sua ispirazione: basti pensare alle alternative vagliate e scartate fino a individuare la parola più congeniale, per esempio, quando per «l’orchestra del Palace sussurrava un valzer lento», «Perec aveva dapprima scritto “rovinava”. Poi ha aggiunto a margine la seguente lista: “bemollizzava sciroppava caramellizzava sussurrava infliggeva allungava scorreva gesticolava avvelenava ondulava inchinava vomitava inghiottiva”, e alla fine ha cerchiato “sussurrava”».
Dei modi per dirsi addio, è come se L’attentato di Sarajevo ne esplorasse uno diverso in ogni pagina, e farebbe bene a tenerlo presente chi si aspettasse da quest’opera una ricostruzione accurata dell’attentato ai danni dell’Arciduca Ferdinando e della consorte, da cui è scaturito il primo conflitto mondiale. A dispetto del titolo, infatti, la vicenda storiografica si inserisce in secondo piano rispetto all’intreccio che l’autore intende raccontare e che si muove entro il perimetro dei più classici quadrilateri amorosi: «Anna ama Branko e Branko ama Mila e Mila ama me», che parrebbe avere un fondamento autobiografico, stando alla nota dattiloscritta che correda le carte di Perec e che elenca gli avvenimenti che si susseguono giorno per giorno nel romanzo.
È l’autore stesso – o, per meglio dire, il narratore – a fornirci le chiavi per entrare dentro a L’attentato di Sarajevo dalla corretta angolazione: «Vivete come uno slavo le passioni che furono in gioco, e forse riuscirete a cogliere ciò che questa storia ha di tragico, di meravigliosamente tragico». E, con una serie di incursioni dentro la scrittura, a farci arrivare al cuore «di un processo, di un tipo un po’ particolare di processo» che consiste nel mettere su carta pezzi di memoria: «Devo scusarmi, se sono costretto a interrompermi così spesso. Preferirei mille volte poter raccontare una storia semplice, senza che gli avvenimenti debbano essere sempre messi in dubbio».
Più che la storia di un amore – del reticolo che scaturisce da diverse stratificazioni di amore – questo romanzo è il racconto, scomposto attraverso il ricordo, della forza dirompente e distruttiva di un sentimento dentro le vite degli esseri umani che si muovono e fanno congetture nello sconfinato territorio della possibilità.
L’attentato di Sarajevo si può leggere allora come pietra angolare di un monumento della letteratura francese del Novecento, andando a rintracciare i numerosi riferimenti e immagini letterarie di cui si nutre: da Apollinaire fino a Stendhal, che «avrebbe riconosciuto in noi Madame de Chasteller e Lucien Leuwen mentre camminano nel bosco dello Chasseur vert. Non sto scherzando: la nostra emozione era la stessa, come pure il nostro accordo e la nostra felicità».
Ma anche con il supporto di una guida all’ascolto, che inizia con l’attacco della Sesta Sinfonia di Beethoven e si snoda attraverso la voce di Billie Holiday e le celeberrime note di canzoni francesi come Les feuilles mortes, Barbara, En sortant de l’école e Mademoiselle de Paris.
Avendo l’accortezza di seguire solo una semplice avvertenza: «Non bisogna mai scherzare con la Storia».
(Georges Perec, L’attentato di Sarajevo, trad. di Angelo Molica Franco, nottetempo, 2019, 160 pp., euro 16, articolo di Veronica Giuffré)
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