Alla ricerca di una solitudine perfetta
“Gli schifosi” di Santiago Lorenzo
di Martin Hofer / 28 aprile 2020
Manuel, giovane ingegnoso e alquanto precoce, vorrebbe veramente fare amicizia con gli altri, ma a quanto pare gli altri non hanno nessuna intenzione di ricambiare. Che si tratti di un compagno di scuola, di un proprietario di casa («Era quello che si definisce una merda, uno spilorcio e un parassita», pag. 19) o di uno dei colleghi di lavoro del call center («una manica di schifosi», pag. 18), il messaggio è sempre lo stesso, ed è inequivocabile: qui non ti vogliamo.
Spagna, anno 2015. Momento critico per il Paese, momento schifoso. La Spagna dolorosamente segnata – a livello economico e sociale – dalla crisi, dal deficit, dalla crescita quasi zero è il fondale da cui parte Santiago Lorenzo per dare avvio al suo romanzo Gli Schifosi (Blackie Edizioni, 2020).
Le relazione tra individui sono incattivite dalla speculazione immobiliare («In tempi in cui tutto veniva spianato e raso al suolo, il settore sembrava un Monopoli a cui si doveva giocare con dadi piatti», pag. 19), dalla precarietà e dai piccoli soprusi sul lavoro («Si veniva pagati con una banconota rosa al mese, una sola. Chi pretendeva qualche centesimo in più veniva sbattuto fuori», pag. 18), dalle rappresaglie della Guardia Civil durante le manifestazioni («C’erano più motivi per evitare i poliziotti nel 2015 che i balordi negli anni Settanta», pag. 23). Ed è proprio un tafferuglio tra forze dell’ordine e manifestanti a cambiare per sempre la vita del protagonista: la violenza improvvisa e casuale di un poliziotto in borghese si abbatte su Manuel, che si difende come può.
Brutto affare, il ferimento di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni: «La nuova legge prevedeva sanzioni da rapina e pene carcerarie aumentate soltanto a causa di un vocabolo, di una normale fotografia, di una divergenza di opinioni o di un lieve contatto fisico fra le dita». (pag. 23)
Unico alleato di Manuel, uno zio disoccupato, narratore della vicenda, assieme al quale il ragazzo pianifica una latitanza che lo condurrà a Zarzahuriel (nome di fantasia), uno sperduto villaggio «preda della disabitazione galoppante di cui parlavano i sociologi e i giornalisti» (pag. 44), «un vestigio trascurato e senza un’anima, uno fra le centinaia che oggi sono abbandonate in Spagna» (pag. 38).
Provocato da una fuga scevra di intenzioni waldeniane («Non sembrava molto assimilato ai Crusoe, ai Thoreau, agli stiliti, ai sopravvissuti classici», pag. 95) il ritiro di Manuel si trasforma presto in un inno alla solitudine riconquistata, al tempo lento, alla ritrovata armonia con la natura, alla “poetica campestre”, benché Lorenzo corra spesso ai ripari per fugare eventuali chiavi di lettura new age o pseudo-fricchettone («Manuel riconosceva a stento la musica dell’ecologia», pag. 110; «la lirica agreste non gli interessava per nulla», pag. 60), un tentativo, a opinione di chi scrive, che causa frequenti cadute in contraddizione, se accostato alle numerose filippiche francescane che caratterizzano la parte centrale del romanzo: «La sua era una parchezza gioiosa in quanto vocazionale. Prima l’aveva degustata, poi l’aveva accettata e finalmente l’aveva abbracciata come sposa». (pag. 94)
«All’aria sana del tempo libero, niente lo rallegrava più dei legumi cotti con sale, olio e aceto, o il riso bianco con l’aglio fritto. Proclamò che erano squisiti (“Hanno il sapore di cose proprio mie”, disse)». (pag. 90)
Tra i boschi della zona e nelle stanze di una casa in rovina eletta a dimora, Manuel smaschera la doppia menzogna che, fino a quel momento, ha guidato la sua vita: la menzogna della dipendenza dagli oggetti di consumo e la menzogna della convivenza con gli altri come condizione imprescindibile per qualsiasi essere umano.
Una telefonata al giorno con lo zio, unico contatto con il mondo esterno, un cacciavite, un’ascia, un cappotto e pochi altri beni fatti consegnare a domicilio diventano i confini di un’esistenza inedita, impensabile per chi, come Manuel, ha cercato affannosamente un senso di comunità in una Madrid sempre più ostile e imbarbarita. Immerso nel suo idillio, come reagirà il ragazzo di fronte a una minaccia proveniente dal mondo che credeva di essersi lasciato per sempre alle spalle?
Valutare Gli schifosi sotto un profilo squisitamente letterario non farebbe guadagnare molti punti al romanzo. Lorenzo cerca con insistenza una scrittura sporca, colorita, ma allo stesso tempo eccede in spiegazioni non necessarie, nell’evocazione di immagini e giochi di parole spesso contorti, nell’ironia maldestra: «Manuel doveva essere consumato dalle seghe, immaginavo io in numero tanto copioso da portarlo alle soglie della sifilide. Lo vedevo afferrato alla sua mazza e trasformato in pistone di sé stesso. Doveva farsi tante pugnette da imbiancare le pareti, da riempire l’aria campestre di cellule ambulanti, tutte alla ricerca di un recipiente ingravidabile in cui entrare per la germinazione». (pag. 76)
«Il villaggio si andava dimostrando lo stranello ideale, la strappola propizia, a causa del tasso di incontri con i suoi simili di specie (un tasso zero su zero unità)». (pag. 104)
«Beveva quel flusso con avidità, calmando un’ansia di anni, con un godevole doloretto alle tonsille e un po’ di delirio per l’inondazione repentina di purezza. La respirava a mantice, convogliandosela dentro come in un autostupro». (pag. 114)
«Doveva essersi sottoposta a operazioni di chirurgia plastica, che a Manuel ricordavano l’uso anomalo di inserirsi sotto il derma foie gras, gomma da masticare usata o caucciù sciolto». (pag. 141)
«Era da quattro quadrimestri che non lo vedevo. Un cagotto lacrimale, fu quello che soffrii, a fiumane». (pag. 199)
Uscito in Spagna nel 2018, il quarto romanzo di Santiago Lorenzo è da considerarsi a tutti gli effetti un bestseller, forte delle oltre 150.000 copie vendute in patria e del premio dei librai indipendenti.
A conquistare i lettori, forse, lo spietato ritratto di un paese che, sull’orlo del tracollo, vara provvedimenti sempre più autoritari (di quegli anni la famosa ley mordaza, “legge bavaglio”), l’affascinante ipotesi che la ricerca di un posto nel mondo possa coincidere con la ricerca di una solitudine assoluta, la progettazione di un’utopia anticapitalista a dire il vero piuttosto raffazzonata e non esente da insidie moralistiche.
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