Tutte le nostre fragilità
“Maneggiare con cura” di Gabriella Kuruvilla
di Fernando Coratelli / 21 luglio 2020
Dopo otto anni è tornata sulla scena narrativa Gabriella Kuruvilla. A dire il vero, in questi anni sono usciti parecchi suoi racconti su varie antologie, ma mancava il romanzo. È Morellini Editore a rilanciarla ora con Maneggiare con cura. Kuruvilla è un’artista poliedrica, dedita alla scrittura quanto alla pittura: è sua infatti l’immagine di copertina. E non a caso nel romanzo tutti i personaggi che incontriamo ruotano intorno al mondo dell’arte. O meglio ruotano intorno a Ashima, artista indiana, che si suicida a cinquant’anni. Da qui si dipanano una serie di voci e intrecci di vite.
Diana, sua figlia, Pietro, suo studente all’accademia, Manuel, cameriere e suo amante di una notte, e infine Carla, l’unica che non ha un diretto coinvolgimento con Ashima se non per una sua strana abitudine di cercare funerali per disegnarne i partecipanti. Così si ritrova al suo funerale.
Il suicidio di Ashima avviene in una calda giornata estiva del 2001. Il romanzo però si svolge quasi per intero dieci anni dopo quell’evento. Kuruvilla sceglie di raccontare in prima persona ciascuno dei personaggi presentati – a eccezione di Ashima che conosciamo solo attraverso il punto di vista dei protagonisti. La scelta di cambiare voce e registro stilistico è una scelta coraggiosa e per niente scontata. C’è da dire che l’autrice riesce nell’intento, nonostante qualche piccolo inciampo di cliché su Manuel, immediatamente recuperato nei dialoghi, che sono così aderenti alla realtà da fartene dimenticare.
Sicuramente il personaggio più forte è Diana. Figlia di Ashima, senza padre biologico ma con un patrigno e una sorellastra imposti, tratteggia assai bene l’essenza apolide di chi è definito italiano di seconda generazione. Nel suo disperato e mal riuscito tentativo di elaborare il lutto della madre, racconta come venga considerata indiana in Italia e italiana in India. È senza patria, del resto è senza padre. Sua madre è scappata da quella realtà e Diana, seppure desideri ogni tanto integrarsi capire quel mondo, rompe i cliché (qui sì, tutti) di cui siamo farciti in Occidente rispetto alla famigerata spiritualità indiana, che per gli indiani chiaramente altro non è che un souvenir da venderci. Un po’ come quell’americano che in Italia voleva comprare il Colosseo.
In ogni personaggio traspaiono debolezze e fragilità tipiche di un universo borghese e convenzionale di una generazione nata fra i Settanta e gli Ottanta. Chiaramente, ciascuno di loro si percepisce o si crede antiborghese, artista, rivoluzionario – basti pensare che Manuel e Diana si conoscono la prima volta al G8 di Genova l’estate del 2001 – eppure restano profondamente borghesi, nelle aspettative che creano loro ansia, nei desideri di fuga, nell’incapacità di crescere e assumersi responsabilità.
Per esempio Diana dice di sé che intasa il futuro con il passato e «il presente è un ponte, da cui temo di cadere». Invece Pietro mette in dubbio anche i suoi stessi ricordi, si chiede se non si sia inventato il suo passato, «come se la memoria potesse essere considerata un parente stretto della fantasia: qualcosa come una figlia. O un genitore». Manuel dal canto suo è sempre a corto di denaro ma pieno di donne, e seppure ora sia fidanzato con Diana non manca di tradirla consciamente, ma poi candido afferma che lei «rappresenta un punto di riferimento, che mi dà sicurezza». Infine Carla che a differenza di Pietro scappa dai luoghi dei suoi ricordi, se questi sono spiacevoli, e ha paura delle persone capaci di dirle di no, sebbene al contempo le stimi.
La lingua di Maneggiare con cura è aderente alla sua vicenda, ansiosa e ritmata. Come detto, Gabriella Kuruvilla riesce a cambiare registro a seconda dei narratori delle vicende, ma il principale merito va ai dialoghi che intreccia, alla sottile ironia, meglio, al sarcasmo che traspare nell’intera vicenda.
Da un punto di vista strutturale, una maggiore frantumazione delle voci gli avrebbe dato maggiore forza, invece della linearità di avere quattro personaggi e sei capitoli. Infatti solo Diana e Carla hanno una seconda ma brevissima possibilità di parlare. È una semplicità lineare che fa perdere un po’ di intensità, soprattutto nel finale dove c’è un sospeso che avrebbe guadagnato con una diversificazione maggiore del ritorno delle voci narranti. Resta in ogni caso un’ottima prova d’autore (o d’autrice, se si preferisce), in cui risaltano Milano, le folle, la solitudine notturna, i silenzi improvvisi nella confusione.
(Gabriella Kuruvilla, Maneggiare con cura, Morellini Editore, 2020, 218 pp., euro 14,90, articolo di Fernando Coratelli)
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