Matt Berninger non smetterà mai di essere Matt Berninger

Il primo album solista del leader dei The National

di / 21 ottobre 2020

Vicino all’aeroporto di Los Angeles c’è un tubo a forma di serpente che si snoda nell’oceano, sopra il quale c’è una specie di gabbia che impedisce alle persone di arrampicarsi in mare. Questa immagine ha ispirato il titolo del primo album solista di Matt Berninger, Serpentine Prison. A pensarci bene, è qualcosa che può avere a che fare con un personaggio del genere.

La prima prova in solitaria del cantante dei The National, comunque, non era così scontata come può sembrare. Si esce da un lavoro piuttosto scialbo per quelli che sono i livelli della band americana. Un colpo al cuore. Ma non di quelli a cui ci aveva abituati. Senza troppi fronzoli, I Am Easy to Find è l’album meno interessante e ispirato della loro carriera. Quindi passare da un mezzo (più che mezzo, forse) passo falso come questo alla prima prova da solista, insomma, poteva essere un rischio.

Non che succeda chissà che cosa oggi. Non scopriamo aspetti di Berninger che non conoscevamo. In Serpentine Prison, Matt Berninger non ha voluto strafare. Non ha fatto più di quello che è palesemente nelle sue corde. È un album di canzoni. Un album di belle canzoni che ci possiamo aspettare da uno come lui, arrangiate in maniera minimale. Che hanno un centro, un’idea da cui trarre ispirazione, a differenza di I Am Easy to Find che sembrava fatto tanto per fare.

Attorno a Berninger non ci sono ghirigori, ma una base solida, chiara. A volte suona come qualcosa di un’altra epoca, tra i ’60 e i ’70. Un respiro diverso da quello a cui simo abituati con i  The National, che si muove attorno a un’architettura funzionale che gli permettere  di emergere, nudo, insieme alle sue angosce.

Un lavoro che gira bene. Che sembra perennemente alla ricerca di fare il salto in avanti, ma che non ci riesce mai. Sembra che provi ad arrivare, canzone dopo canzone, ai livelli di “I Need My Girl”, senza farcela. Adeguandosi un po’ alla volta ai propri limiti, definendosi proprio nei suoi limiti.

Matt Berninger è comunque sempre il solito Matt Berninger e in Serpentine Prison si ritrova come spesso gli capita a fare i conti con situazioni domestiche, la difficoltà di capirsi, di farsi capire e di capire l’altro, da cui sembra cercare riparo attraverso alcune soluzioni surreali che ne fanno delle piccole e assurde vie di fuga. C’è un modo quasi infantile, ingenuo, nel suo affrontare il mondo. Nell’affrontare sé stesso. A cui risulta difficile dire che sia sbagliato.

Pochi sono i momenti corali all’interno dell’album. L’episodio “All for Nothing” è il più riconducibile a qualcosa che abbia a che fare con i The National. In Serpentine Prison si aggirano Nick Cave e Leonard Cohen e non poteva che essere così: è la prima volta che possono farlo con tanto impeto. Matt Berninger ci racconta sé stesso con il suo fare dandy, quasi distaccato, quasi sto parlando di un altro: sappiamo che dentro si sta contorcendo dal dolore.

Serpentine Prison è un bell’album rassicurante. Ci regala quello che pensiamo più o meno di Berninger, viviamo nella sua comfort zone, ci lasciamo volentieri abbindolare dal suo modo di fare. La separazione momentanea dai The National serve oggi a lui e servirà probabilmente a loro in futuro.

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LA CRITICA

Primo lavoro da solista per  Matt Berninger, Serpentine Prison. Messi da parte per un attimo i The National, il cantautore americano scrive un bell’album senza particolari fronzoli.

VOTO

7/10

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