Mulan: la principessa con la spada
di Elisa Scaringi / 23 dicembre 2020
Le principesse non sono tutte belle e buone. Ce n’è una che combatte con la spada, e lo fa meglio degli uomini. Si chiama Huan Mulan e vive in Cina. Nata nel VI secolo come figura epica, la sua leggenda continua a essere raccontata. Stavolta di nuovo dalla Disney: dopo il film animato del 1998, il live action 2020 viene firmato da una donna, la neozelandese Niki Caro. E il tocco si nota.
Due, infatti, sono le protagoniste della storia: non solo Mulan, che dà il titolo al film, ma anche Xianniang, la strega cattiva che ne diventa alleata; donne abili nei combattimenti, ma insicure nel gestire questa scomoda superiorità rispetto agli uomini. Antagoniste solo in apparenza: un’aquila e una fenice che prima si scontrano, poi si riconoscono nella loro reciproca femminilità. In un contesto di soli uomini, nel quale le tradizioni sottolineano i caratteri di una società patriarcale, Mulan decide di fare la differenza, utilizzando il suo dono, tipicamente maschile, come strumento per affermare la giustizia. Se Xianniang offre i suoi poteri al nemico (le truppe nomadi dei Rouran, guidate dal feroce Bori Khan), Mulan rimane fedele all’imperatore, incarnando nella sua femminilità tutti i migliori valori dell’ottimo condottiero: lealtà, sincerità, coraggio e devozione per la famiglia.
Una storia affascinante, dunque, riletta secondo uno stile tipicamente occidentale, nel quale l’aquila e la fenice sembrano volerci raccontare anche un’altra vicenda, quella geopolitica che divide, per poi unire, i destini di due nazioni (gli Stati Uniti e la Cina), che si contendono il potere e la forza. Il film, però, non ha alcun intento critico, esaltando con forza il decadimento della forza mascolina, sotto i colpi di una giovane combattente che usa la forza per difendere la giustizia. Non a caso i rimaneggiamenti narrativi rispetto al poema originario vertono nella direzione di esaltare una femminilità che, ne La ballata di Mulan, si viene a scoprire soltanto alla fine. Già a metà film, invece, la protagonista scioglie i suoi capelli, vincendo il temibile Bori Khan sotto le vesti celate di una donna coraggiosa.
Mulan è quindi un film che propone dei valori forti, pur tralasciando sullo sfondo il contesto tradizionale cinese entro cui nasce e si sviluppa la storia.
La Disney prosegue la sua ormai consolidata tradizione di riedizione in live action dei classici di animazione. Rispetto a Il libro della giungla o a La bella e la bestia, però, Mulan è diventato prima ancora di uscire un doppio centro di polemiche.
Da un lato è stata criticata la scelta di far uscire il film direttamente sulla piattaforma Disney + a causa della pandemia. Dall’altro, il film non è stato accolto molto bonariamente quando l’attrice protagonista (Liu Yifei) ha esplicitato il suo supporto alla polizia di Hong Kong nella repressione delle proteste; senza contare le critiche mosse alla produzione nell’aver coinvolto alcune agenzie governative cinesi operanti nella regione dello Xinjiang, dove sarebbero stati istituiti dei campi per la rieducazione degli uiguri, etnia turcofona di religione islamica residente nel nord-est del paese. L’imperatore è dunque salvo; i diritti umani nella Cina di oggi un po’ meno.
(Mulan, di Niki Caro, 2020, azione, 115’)
LA CRITICA
Mulan è un film lineare, che parla di donne e mette in secondo piano gli uomini. Una storia tipicamente disneyana, dai colori forti, che svicola dalla banalità e riesce a confermare l’originalità di una eroina leggendaria, che dal VI secolo continua a far parlare di sé.
Comments