My Mamma de La Rappresentante di lista
Il nuovo album del duo autore di "Bu Bu Sad"
di Luigi Ippoliti / 31 marzo 2021
Finito Sanremo è uscito il quarto album de La rappresentante di lista, My Mamma. Guardarsi indietro di qualche settimana e rendersi nuovamente conto che all’Ariston abbia suonato – effettivamente – quella che è la queer band più famosa d’Italia, sì, provoca ancora un leggero straniamento. Immotivato, perlopiù.
Non per la questione queer (magari anche), ma perché ingenuamente si tende 1) a catalogarli a prescindere nel calderone degli alternativi 2) a pensare a Sanremo come luogo conservatore che non si rende conto più di quello che gli accade attorno. Sanremo è cambiato come è cambiato il mercato, per cui La rappresentante di lista su quel palco dovrebbe risultare come qualcosa di automatico. Ma ci portiamo appresso ancora qualche strascico, per cui vedere loro o I Coma Cosa accanto ad Amadeus ci suona sempre un po’ strano.
La rappresentante ha tutti i crismi (di arrangiamento, testuali, di attitudine, di immagine) – almeno fino a My Mamma – per rientrare in quell’insieme alternativo, che banalmente possiamo ridurre a gruppo da MiAmi. In un periodo storico in cui certi limiti non sono evidenti e di fatto non esiste una vera e propria sottocultura, risulta paradossale questo etichettare – a meno che non vogliamo farne forzatamente una questione di tifo tipo “quelli dal basso” che affrontano lo showbiz (magari oggi incarnato dal cattivissimo Ermal Meta).
Nel momento opportuno, comunque, con l’occasione Sanremo, dovendosi far ascoltare da più orecchie possibili, sono stati capaci di cambiare, stravolgendosi, reinventandosi, ma senza abbandonare del tutto lo spirito con cui si sono sempre mostrati agli ascoltatori. Non c’è nessun pezzo, in questo nuovo capitolo, che abbia la profondità interpretativa o di scrittura, per esempio, di “Un’isola“. E non ci sarebbe potuto essere: la strada è quella di una radiofonicità elegante, intelligente, quasi accomodante. Innocua e per questo piacevole.
Da “Religiosamente” a “Mai Mamma” ci confrontiamo con un gruppo che ha invertito qualcosa, mettendo la produzione in primo piano, senza però soccomberle. Non era difficile scadere in una grammatica stanca e stantia, banale e omologata. Invece LRDL riesce a mantenere intatto un aspetto fondamentale: la credibilità. Bisogna solo pensare che il progetto è stato declinato per un altro tipo di pubblico, cercando di non scordarsi di quello vecchio. Complicato, ma la sensazione è che siano riusciti nell’intento.
Perché alcuni pezzi funzionano a prescindere, come “Religiosamente” o “Oh Ma Oh Pa” (forse troppo palese il riferimento a “Hey, Ma” di Bon Iver?), passando per “Alieno” e la oramai famosa “Amare“. Veronica Lucchesi oscilla tra rimandi a Amy Lee degli Evanescence, Beth Gibbons dei Portishead, fino a sfumature di una imprescindibile Bjork, a cui sommare quella rotondità vocale che spazia tra Carmen Consoli e Malika Ayane. Parentesi meno riuscita quella in cui a cantare è Dario Mangiaracina, “Fragile“, dove pare apparire uno stanco Calcutta che tenta di bissare “Oroscopo“.
La curiosità è vedere come si svilupperà il progetto de LRDL, capire come e quali elementi verranno bilanciati e quale direzione verrà presa. Per ora possiamo dire che My Mamma è un buon lavoro, non il loro migliore, ma che può aprirli a una consapevolezza maggiore del loro declinare il mondo, sapendo che comunque possiamo aspettarci molto di più da loro.
LA CRITICA
Buono il quarto lavoro de la rappresentante di lista, “My Mamma”. Prende le distanze con i suoi predecessori anteponendo un discorso radiofonico raramente sperimentato in passato.
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