La matematica dei rami
L'ultimo album di Max Gazzè
di Luigi Ippoliti / 14 aprile 2021
Gazzè sale sul palco dell’ultimo Festival di Sanremo vestito da Leonardo da Vinci. Poi si trasforma in Dalì. La cosa non sorprende più di tanto.
Perché non sorprende più di tanto? Non solo perché parallelamente Lauro si esibisce in una serie di performance estreme (quantomeno, nonostante tutto, sulla RAI). Rientra nella percezione che si ha di lui, di come si sia standardizzato su un livello (comunque alto) da cui non si schioda. In qualche modo ci aspettavamo qualcosa del genere, rientra nelle cose che può fare.
Questa strana staticità che troviamo attorno al personaggio Gazzè, quasi come un paradossale vecchiume che lo avvolge, è per forza di cose figlia di una sua certa ripetitività nella sua produzione musicale, in quel tipo di manipolazione del linguaggio, quella libertà dietro ogni sua costruzione melodica.
Una libertà controllata. Siamo abituati a Gazzè che fa Gazzè, e l’enorme carica di fantasia che getta nelle sue canzoni. Abbiamo fatto il callo, dando forse per scontata la qualità della sua scrittura e la sua ecletticità di personaggio. Imputandogli anche solo inconsciamente il fatto di essersi chiuso in una sua confort zone.
Forse ci infastidisce il fatto di sapere in qualche modo che oramai scriva questo genere di pezzi anche a occhi chiusi. Quindi aggiungiamo: “Ok, perché non proviamo altro?”.
In questi giorni esce I rami della matematica, il suo nuovo album. Ascoltiamo un’ennesima carrellata di canzoni pop di livello, sicuramente più immediate rispetto al passato per far fronte a certe richieste di mercato, ma che inconsciamente conoscevamo già. Il punto non è capire se Gazzè è ancora Gazzè. Il punto è trovare Gazzè oltre Gazzè.
La canzone portata al Festival, per esempio, “Il Farmacista“, può fare il paio con quello portata sempre a Sanremo nel 2018, “La leggenda di Cristalda e Pizzomunno“. Lavorano sulle stesse zone del cervello. Sono brani estremamente brillanti, ma che suonano come una sorta di teaser del brand Gazzè. È facile tutto questo? No, ma proprio perché l’artista romano è un talento, non ci accontentiamo.
“La matematica dei rami” arriva in maniera diretta senza grossi sforzi mentali. “Considernando“, brano alla Fabi con dei rimandi più che evidenti con l’ultimo Brunori; il pop conservativo di “Il vero amore“, le parafrasi di Battiato di “Le casalinghe di Shangai“; l’immersione nell’immaginario conosciuto, anche se un po’ meno surreale, di Gazzè. “Figlia“, sicuramente il momento più interessante, quello che si distacca dal resto, scritto insieme a Silvestri e al fratello Francesco, elettronica in uno spirito quasi prog e quasi psichedelico, in cui si riflette sull’occhio del padre che vede crescere la figlia. In più, la cover di “Del Mondo” dei CSI, in cui non sfigura di fronte a un mostro sacro come Lindo Ferretti. È un album che in generale non dà molto a Gazzè, se non l’ennesima riprova che sappia, quasi da tecnico, scrivere canzoni.
Rimane comunque uno dei più grossi cantautori italiani di oggi, e proprio per questo vogliamo altro da lui . Anche il rischio dell’errore. “La matematica degli alberi” rimane un lavoro che rientra al 100% nelle sue corde. L’augurio è quello di vederlo confrontarsi in futuro con altri linguaggi. Con la paura. Sorprendendoci.
LA CRITICA
Buon album di Max Gazzè. La matematica dei rami è più immediato dei lavori precedenti, ma scritto sempre con grande cura e sapienza.
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