Declinazioni della ribellione

“Urla sempre, primavera” di Michele Vaccari

di / 15 giugno 2021

Copertina di Urla sempre, primavera di Vaccari

L’ultimo libro di Michele Vaccari, Urla sempre, primavera (NN Editore, 2021), ha tutto l’aspetto di una sfida, letteraria e non solo. Storie, fili narrativi diversi per punto di vista, luogo e tempo, sono raggruppati qui in un romanzo che è composto da molteplici romanzi e da una pluralità di personaggi e caratteri; l’autore affronta a viso aperto il presente, non limitandosi a interrogarlo ma provocandolo, intaccandolo; soprattutto, però, Vaccari ha l’obiettivo di aggiornare – e rivitalizzare – la letteratura italiana di oggi. Il testo affonda le sue radici nella fantascienza, nella distopia e nel new weird, ma al contempo riprende scenari e movenze tipici della storia italiana, distorcendoli e reinterpretandoli – e quello che ne viene fuori è una combinazione riuscita tra romanzo storico, ucronia e vicenda intima.

Vaccari dipinge in maniera spregiudicata l’Italia del Ventunesimo secolo (i suoi orrori ma anche gli accenni di speranza, e resistenza) immaginandone un futuro cupo e parallelamente riadattandone il passato. Urla sempre, primavera è pertanto un libro profondamente (e quasi spudoratamente) italiano, che però guarda sempre ad alcune sperimentazioni della letteratura anglosassone. Il risultato, a tratti, è destabilizzante. Anche l’aspetto grafico del testo (con pagine di diversi colori e mappe a introduzione dei capitoli) testimonia d’altronde il desiderio di dar vita a qualcosa di sovversivo, un romanzo mondo e anche un non romanzo, un’indagine cupa e onirica sul presente, un trattato sulla ribellione.

Il libro è diviso in cinque macro-capitoli che sono cinque romanzi brevi. Il primo, “Libro rosso”, è ambientato nel 2022: un’oligarchia-dittatura di anziani, la Venerata Gherusia, sta prendendo il controllo dell’Italia: per farlo, ha decretato che le donne non possono più diventare madri. Zelinda, una ragazza incinta, scappa col suo compagno per le strade di una Genova apocalittica, che rimanda esplicitamente a quella del 2001 (a quel G8 che è per Vaccari il punto di non ritorno della storia italiana). Già qui, la prima intuizione: quella di Genova come luogo distopico, infatti, è una scelta che sposta il baricentro immaginativo, che crea nuovi spazi letterari. Successivamente, nel 2043 del “Libro blu”, Giuliani è un commissario di polizia in un’Italia in cui un referendum vuole ufficialmente sancire l’estinzione dei cittadini. L’uomo, tormentato e indifeso di fronte alle proprie colpe di gioventù, deve indagare sulla morte di un ultracentenario: un’occasione, forse, per redimersi. Nella terza parte, “Libro nero”, si torna indietro nel tempo: Spartaco, il padre di Zelinda, racconta la sua storia che è anche la Storia dell’Italia del Novecento. L’uomo, che si definisce queer (e che parla di sé al femminile), è prima un partigiano e poi un attivista per i diritti degli omosessuali. Gli anni Settanta saranno però inaugurati da un evento alternativo – e sconcertante – che stravolgerà la vita del protagonista e il destino del Paese. Nelle due parti finali, “Libro verde” e “Libro bianco”, a prendere la scena sarà Egle, figlia di Zelinda e nipote di Spartaco, una bambina e poi una donna cresciuta in mezzo alla natura selvaggia che circonda Genova, tra gli animali e gli orfani del bosco – i bambini nati clandestinamente e poi scampati per miracolo alla cattura. Egle, come sua madre e suo nonno, ha il potere di entrare nei sogni; lei, però, in più riesce anche a farli avverare, a realizzarli concretamente: il suo obiettivo è quello di entrare nei sogni del capo della Gherusia, e di convincerlo che l’esito del referendum non deve assolutamente essere accettato. Che l’umanità deve continuare a esistere.

A sorprendere, in Urla sempre, primavera, è il coraggio con cui Vaccari si confronta con svariati e complessi temi del contemporaneo: le questioni di genere, il cambiamento climatico, l’animalismo, il futuro dei giovani; parlare di romanzo mondo non è insomma un’esagerazione. In questa sfida, l’autore evita però ogni retorica e si serve invece delle armi dell’immaginazione; d’altronde il messaggio del libro è chiaro: sono proprio i sogni (intesi sia in chiave onirica ma anche come ambizioni di trasformazione, di miglioramento, di rivoluzione) a poter cambiare le cose, l’unica forza in grado di modificare il presente. Quello di Vaccari è un romanzo che si colloca apertamente (nei contenuti ma anche nella lingua e nel tono) come libro ribelle. I suoi protagonisti rappresentano diverse declinazioni della ribellione, e come molti ribelli abitano un perenne contrasto tra due aspirazioni: la felicità privata e il bene collettivo. Urla sempre, primavera è in effetti, tra le cose, un racconto epico: di solito, nei romanzi storici, storie minime di personaggi minori diventano emblematiche di un certo periodo; qui invece i protagonisti sono degli autentici eroi (o antieroi), che la Storia la affrontano da protagonisti, la cambiano sul serio, in meglio o in peggio che sia.

Vaccari estende poi questo discorso a un’ulteriore domanda esistenziale, quella sulla necessità della violenza; in altre parole: cos’è una rivoluzione? come si fa? Esiste una rivoluzione non violenta? Ogni rivoluzione o ambizione di rivolta, dalla Resistenza alla lotta onirica contro la Venerata Gherusia, è per lo scrittore in bilico tra due parole, due opposti: violenza e sogno, realtà e ideale.

Il tema principale del romanzo, come in ogni buona narrazione distopica, è comunque quello del futuro. L’accusa di Vaccari è la stessa dell’ambientalismo, e non solo: col nostro comportamento ci stiamo dimenticando di chi verrà dopo di noi. L’immagine della dittatura degli anziani è in questo senso parecchio significativa, oltre che disturbante, e racconta anche di un presente in cui i giovani sono spesso lasciati ai margini – in un’ottica lavorativa quanto politica ed esistenziale. Se spesso si critica alla letteratura la sua incapacità nell’affrontare concretamente il tema del futuro – colpa forse di un approccio retorico e colpevolizzante –, lo spunto di Vaccari è invece quello di costruire un’epica (fatta quindi di eroi e nemici, di tragedia, di lotta, di amore) intorno all’assunto che le nuove generazioni hanno diritto a costruirsi il proprio destino. La copertina stessa si inscrive nel medesimo discorso, con l’immagine (molto new weird) della ragazza-ambiente, Egle, simbolo di contrasto e di unione, dell’uomo – o meglio, del giovane – congiunto indissolubilmente alla natura. Vaccari poi inserisce la sua epica in una vicenda più grande, più antica; collega le cose, ritrova nel Novecento le radici del tracollo. Il romanzo distopico è così anche ucronico, e l’epica ha i suoi mitici poli opposti – uno positivo, l’altro negativo – nella Resistenza e nel G8 del 2001.

A parte la sua valenza politica, Urla sempre, primavera è soprattutto un libro visionario, un caleidoscopio di invenzioni e suggestioni letterarie: si passa da un immaginario da Signore delle mosche, però al contrario (con i bambini che sono gli unici incorrotti in una società corrotta), a uno alla Inception e poi alla Black mirror. A colpire sono soprattutto le storture, le immagini orrende e a tratti grandiose nella tragedia (come le donne incinte massacrate i cui cadaveri sono stati accatastati dentro lo stadio Ferraris). C’è anche l’idea di una neolingua incomprensibile che si diffonde in questa Italia devastata: si tratta di un parlare bruto, a metà tra il ghigno animale e il linguaggio vuoto dei social e del capitalismo. Tutto il futuro immaginato dallo scrittore è d’altronde caratterizzato da immagini depressive: quella di Vaccari è una distopia triste; il futuro non solo è invivibile e moralmente distorto, ma è anche privo di entusiasmo e di qualunque forma di bellezza. La luminosità di facciata di alcune distopie classiche è del tutto elusa, se non, ovviamente, nel suo opposto, nella ribellione. Si tratta d’altronde di un mondo che decide autonomamente di estinguersi, che ha cancellato il concetto stesso di gioventù. Per questo alla speranza (la primavera del titolo) non possono che associarsi topos epici come la lotta e il destino: alla grandiosità del dolore si oppone la grandiosità della rivolta.

 

(Michele Vaccari, Urla sempre, primavera, NN Editore, 2021, 448 pp., euro 19, articolo di Claudio Bello)
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