Il tempo dei Low
il tredicesimo album della band americana
di Luigi Ippoliti / 15 settembre 2021
Quello che i coniugi Mimi Parker e Alan Sparhawk sono riusciti a fare con Double Negative e, ora, con Hey What, deve ricordarci che è finito il tempo dell’equivalenza Low-Slowcore.
In Other and Sixies si avvertiva una specie di stallo, di vaga incertezza: c’era sì, appunto, lo slowcore di I Could Live in Hope, ma c’era anche qualcosa che suonava come l’anticamera di quello che poi sarebbe stato. Il loro approccio stava cambiando. Sapevano di trovarsi a un bivio: dopo quasi tre decenni, arrendersi definitivamente al bellissimo ma inevitabile sempre uguale oppure sterzare verso luoghi ancora inesplorati. Cercare di dare ai Low un’altra pelle.
Ed è proprio un’altra pelle quella che ci fanno vedere, oggi: la muta iniziata con Other and Sixies e proseguita con Double Negative, fa il suo corso sprigionando un tipo di bellezza (cerebrale, oscura) difficilmente replicabile.
Perché se con Double Negative ci addentravamo in una lingua che pensavamo i Low non avrebbero mai parlato, con Hey What non era scontato vederli arrivare a tanto: quest’ultimo lavoro è la liturgia computerizzata di un altro mondo che sta per finire e, soprattutto, la distorsione definitiva del loro io.
L’estetica dell’album si fonda su concetti di manipolazione digitale come chiave di lettura del reale. Un uso complesso, delicato, ambiguo. Sfociare in qualcosa di sterile è facile. E qui sta tutta la grandezza del duo: giocare con l’alterazione di sé riuscendo a non soffocare quella potenza melodica che li ha sempre caratterizzati, trasformando il tutto un grande album pop di chissà quale epoca. Un cortocircuito bellissimo e straziante.
Non c’è un pezzo che svetta sugli altri (se non “Don’t Walk Away” che è strutturalmente diverso da tutto quello che ha attorno, o “Days Like These“, un pezzo di un album di Bon Iver del 2100), ma un unico flusso contorto in cui i Low ci hanno dato la possibilità di immergerci.
Hey What si candida a essere uno degli album dell’anno, i Low sono dei giganti e il nuovo corso non fa che sottolinearlo per l’ennesima volta.
LA CRITICA
Ennesimo grande album dei Low, Hey What. Dopo Double Negative i Low tornano alla manipolazione digitale, con grandissimi risultati.
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