I Don’t Live Here Anymore, The War On Drugs

Il ritorno di Adam Granduciel

di / 4 novembre 2021

L’accoppiata Lost in the Dream e A Deeper Understanding, tra il 2014 e il 2017, ci aveva regalato una band ispirata, matura, capace di proporci un suono che rimandava agli anni ’80, senza retromania perniciosa. Qualcosa di già conosciuto ma estremamente immerso nel contemporaneo. Quella band, guidata da Adam Granduciel, in questo 2021 torna con un nuovo album, I Don’t Live Here Anymore.

Mischiare Bruce Springsteen con modulazioni vocali alla Bob Dylan, pescando nella sensibilità di Richard Manuel, riuscendo a non farne una macchietta o un omaggio imbarazzante, era un impresa non da poco. Le canzoni, prese singolarmente e poi viste nell’insieme degli album, funzionavano. Funzionavano bene. Funzionavano molto bene. I War on Drugs avevano dato una loro interpretazione del rock in un’epoca di non-rock con due capolavori.

La curiosità di vedere come si sarebbe sviluppato il discorso era molta:  mutare, oppure rimanere con la stessa pelle senza grossi scossoni.

I Don’t Live Here Anymore protende verso quest’ultima soluzione. Ci sono i pezzi cavalcata con batteria e basso all’unisono, paesaggi americani, la casa e la lontananza. C’è l’amore e la malinconia dell’amore. Ci sono i War on Drugs per come li abbiamo conosciuti recentemente. Nulla di male, in teoria, anzi.

Quello che esce fuori sembra depontenziato. Ci sono brani molto buoni, brani esaltanti alla “Holding On” (“Harmonia’s Dream” su tutti), capaci di unire sofisticatezza con uno spirito da stadio. Manca, purtroppo, qualcosa a livello di coesione e di fluidità. Ascolto dopo ascolto cresce la sensazione che qualcosa non abbia funzionato. Il passato recente è troppo ingombrante.

Granducier ogni tanto ristagna, si blocca, non riesce a trovare una chiave di lettura per manifestarsi come invece successo in precedenza. Se solo il riff di “Pain” era l’anticamera di una promessa mantenuta, riesce più difficile trovare qualcosa del genere, oggi.

I primi due brani sembrano anticipare qualcosa di buono (“Living Proof“, ballata struggente, e la già citata “Harmonia’s Dream“) . Da lì c’è un insieme di pezzi poco efficaci, un paio sinistramente  alla  Arcade Fire per la colonna sonora di un film modesto anni ’80 ( “Wasted” soprattutto), due ottime ballate (“I Don’t Wanna Wait“, fino a un certo punto il brano meno decriptabile di tutti, e “Ring’s Around My Father’s Eyes“”) e poco altro.

I War on Drugs rimangono dei giganti, Adam Grandoucier una guida: questa volta, però, la soluzione War on Drugs ha funzionato meno.

 

 

 

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LA CRITICA

I Don’t Live Here Anymore non risplende come i suoi due predecessori: nonostante i War on Drugs siano sempre i War on Drugs, oggi qualcosa ha funzionato di meno.

VOTO

6,5/10

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effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

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