Il cortocircuito tra luoghi comuni e realtà
“Qui dovevo stare” di Giovanni Dozzini
di Antonella De Biasi / 6 dicembre 2021
Qualche volta la letteratura ci riesce: scatta una fotografia al presente senza sconti, cerca di immortalarlo con le sue contraddizioni e le paure, le incertezze e le convinzioni.
Qui dovevo stare (Fandango, 2021) è un romanzo personale e iperrealista che fa esattamente questo: dopo E Baboucar guidava la fila (minimum fax, 2018) l’autore Giovanni Dozzini ha forse sentito il bisogno di uno stile narrativo diverso e si è calato al centro della storia, raccontando in prima persona due settimane del flusso di coscienza duro e inquieto di Luca Bregolisse, imbianchino di quarant’anni, detto il Brego.
Chi è il Brego lo si capisce immediatamente: ha un lavoro umile, se può lavora in nero, ha una moglie con cui parla pochissimo e una bambina. È cresciuto in una famiglia di sinistra – il padre è un pensionato comunista che ha votato per Occhetto, contribuendo alla “snaturazione” del partito – e ha un passato da ragazzo dei centri sociali. Soprattutto, ha una madre morta troppo presto con cui continua a essere in connessione. «Io non avevo ancora finito di essere il figlio di mia madre, mi serviva altro tempo e mi serviva ancora mia madre»: ha un legame forte con la figura materna, che sente appollaiata tra il sopracciglio e la tempia e rappresenta un po’ la sua coscienza.
Il Brego ha un dipendente marocchino, Nabil, con un figlio, Mohamed, detto Massimino, che combina una serie di guai e conduce un’esistenza sbandata e sarà l’attivatore di una serie di considerazioni e rivoluzioni.
La sua quotidianità, fatta di pranzi e caffè corretti al bar con il suo migliore amico, il Tordo, il lavoro e le sue dinamiche familiari si sgretolano quando un evento che coinvolge Mohamed lo costringe a rivedere le logiche nelle quali si era assestato: perché un conto è agire secondo la realtà che viene fuori dai dati, dai social media, e un altro è farlo seguendo quella dettata dall’esperienza, dalla vita vera.
Benché il paese in cui il Brego vive e che muove le sue scelte non abbia nome, la geografia di molti luoghi è altamente riconoscibile: Qui dovevo stare ritrae infatti un’Umbria malinconica e nostalgica, profondamente cambiata sia demograficamente che sociologicamente.
Il nodo del romanzo è la trasformazione: il passaggio delle ideologie, il cambiamento del proprio paese, contraddistinto da un tessuto sociale complesso che l’autore cerca di tradurre attraverso i pensieri del Brego, l’uomo medio frustrato e pervaso dalla paura.
Dozzini non definisce gli eventi, le azioni che descrive come giusti o sbagliati: il lettore si trova così al cospetto di un ribaltamento delle prospettive e dei luoghi comuni, ascoltati molte volte da tantissimi altri “Brego”.
Irriverente, intenso e ombroso, il flusso di coscienza del protagonista conduce inevitabilmente a riflessioni politiche e sociali: Luca Bregolisse, con i suoi ragionamenti intrisi di razzismo e di intolleranza, è una rappresentazione dello smarrimento politico e culturale che porta a pensare che “i diversi” siano una delle cause del malessere e della precarietà della nostra società. Uno smarrimento che ha portato le ideologie di destra anche in territori “rossi” per tradizione.
Nel corso della narrazione si innesca quasi un effetto domino, e il protagonista è risucchiato in una spirale di eventi che lo conducono a un bivio: scegliere di rimanere indifferente o attivarsi per l’altro, il diverso da sé, divenendo centrale rispetto alle dinamiche sociali che vive. Che dispensano ombre ma anche speranza sia per le vittime che per i carnefici.
(Giovanni Dozzini, Qui dovevo stare, Fandango, 2021, pp. 202, euro 16, articolo di Antonella De Biasi)
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