Una vita da mediano
Su “Altre aspettative” di Alessio Schreiner
di Teodora Dominici / 28 febbraio 2022
Altre aspettative (Ensemble, 2021) è il primo romanzo di Alessio Schreiner, sceneggiatore romano classe ’71 che ha pubblicato racconti sulle riviste «Effe», «Achab», «Nuovi Argomenti», «Oblò» e nelle antologie Vinyl e E poi ci troveremo come le star (Morellini Editore). Racconta la storia di Andrea, personaggio specchio che racchiude, nel breve spazio della narrazione, una serie di interrogativi, tentennamenti e incertezze che ne fanno una sorta di Zeno moderno.
Andrea ha quarant’anni ma gira ancora in motorino, anzi, quando è in aria di conquiste romantiche si presenta a un appuntamento con il secondo casco nel bauletto «come quando al liceo qualcuno metteva un preservativo nel portafogli in vista di una serata».
È un autore televisivo ma lavora al Parsley Pub, assieme a ragazzi troppo piccoli per ricordarsi come fosse il mondo prima del divieto di fumare nei locali pubblici. Gli sembrano candidi, interessanti, con tutti i loro sogni e aspettative sul futuro. Quando è in buona riesce a impressionarli tessendo su misura storie assurde. È pur sempre uno sceneggiatore, anche se ha rinunciato al suo lavoro dopo il fatto di Federica, la sua compagna. Che non c’è più.
Ora Andrea ha una routine abbastanza noiosa, segna con un cerchietto i prodotti in sconto sui volantini pubblicitari, temporeggia tra porno e social (solo Facebook), quando sente mordere l’istinto sessuale va a correre a Villa Pamphili dove le femmine lo guardano ancora, forse un pochino, o se lo è immaginato?
È un tipo vintage, che come sex symbol di riferimento è rimasto a Bogart e alle sue Marlboro, e ha in camera un «apparecchio telefonico, con tanto di fax» dai tempi in cui ha iniziato a lavorare per la televisione. Quando chatta con le sue ex cotte dell’università, scrive ancora «bacio ;-)». E, anche se nel libro si nominano i «vocali» e WhatsApp, Andrea non dà segno di sapere cosa sia Instagram.
Schreiner crea una carrellata di capitoli brevi, gioca coi salti temporali, chiude i capitoli a effetto, in un andamento che potremmo accostare a delle rapide e incisive puntate. Propone scene di semplice fruizione, dove la complicanza sta nel rimescolamento dei piani cronologici, o nell’intersecarsi di verità e finzione, anche grazie al filtro del protagonista, del tutto inattendibile. Inoltre alcune situazioni ricorrenti, se aumentano l’effetto di familiarità, danno anche vita a un sottile disorientamento, un effetto di “già successo”, come nei frequenti sogni, i cui dialoghi sfumano nella realtà.
Anche la casa, vissuta come rifugio dal mondo esterno, ricorre nella sua veste di “cosa viva”, misteriosa: «Più il tempo passava, più aveva l’impressione che quell’appartamento si stesse restringendo. Come se le pareti convergessero in un unico punto, avanzando giorno dopo giorno di qualche millimetro».
Ritornano delle fissazioni, dei trip: quello della posta, quando Andrea si blocca a pensare in maniera ossessiva a cosa potrebbe accadere se una lettera destinata a lui si smarrisse o venisse recapitata al destinatario sbagliato (in una girandola sempre più nevrotica di variabili e ipotesi), quello degli esami medici, attivato dal semplice intervento di un esperto in tv («Dopo due ore di diligenti ricerche su internet, Andrea aveva tirato giù una lista di esami vivamente raccomandati per il post quarantenne maschio generico in buona salute»), oppure quello dell’infanzia, un leitmotiv che collega gli episodi di vita dell’Andrea adulto ai ricordi dell’Andrea bambino caratterizzandolo come un eterno Peter Pan, che rimpiange «il bar coi videogiochi, la caserma dei pompieri, i giardinetti, il campetto […]. Era il mondo dei loro pomeriggi dopo la scuola e aver fatto i compiti. […] Un mondo di madri che quando uscivi si limitavano a raccomandarti di stare attento e che quando rientravi ti dicevano di lavarti le mani perché era quasi pronto, e dopo qualche minuto anche i padri rientravano dall’ufficio. Un mondo perduto e lontanissimo, in cui la felicità era avere mille lire e non vedere l’ora di andare dal giornalaio per comprare dieci pacchetti di figurine».
Quella di Altre aspettative sembra un’atmosfera leggera, disimpegnata, da commedia all’italiana. Per i dialoghi, le scene, l’immaginario, sembra di essere dentro Notte prima degli esami o Come tu mi vuoi. È pieno di Lidie, Giulie, Tiziane, di amiche di amiche, in questo mondo della romanità televisiva che fa gli aperitivi nei locali giusti e dà feste in balcone a casa di quel vecchio contatto delle superiori che ha appena firmato un copione importante.
Per queste feste ormai Andrea ha perso interesse, inutili palcoscenici per mettere in mostra i successi professionali; i single vanno a caccia; si chiacchiera e si fuma, si flirta a bassa intensità, ma è «tutto diventato molto freddo, quasi un esercizio di stile», non come i tempi del liceo, quelli pieni di batticuori e imprevisti e coppiette che di colpo spariscono per appartarsi nella camera col lettone mentre tutti, giù di sotto, ballano.
Andrea è una persona insicura, un narratore inattendibile, quel che racconta va costantemente soppesato. La sua insicurezza è generata dall’aver giocato sempre in riserva nella vita, sin dalle medie, dove i ragazzini “popolari” lo prendevano di mira, oppure dal fatto di non essere mai stato apprezzato dal padre Franco, o ancora dal divorzio dei genitori.
Franco, automobilista aggressivo e appassionato di New Wave inglese, gli ha lasciato in dote un subliminale senso di inadeguatezza, e passa le sue giornate da vedovo progettando precisissimi plastici in cui ricostruisce le più importanti battaglie storiche, come ad esempio una immensa Waterloo… dove Napoleone è vincitore. Ma la vita non funziona così, pensa Andrea, non si può riscrivere modificando quello che non ci piace. Sarebbe una enorme mistificazione.
La nota di fondo è la malinconia. Tutto sembra perennemente affiorare, come galleggiasse poco sotto la superficie. Non ci sono capitoli della vita di Andrea davvero chiusi, si viaggia in una bolla in cui ricompaiono ex, amici di scuola, del mare, situazioni vissute a diciotto-vent’anni: di qui la sensazione irreale, un po’ dolciastra e trasognata, che si ha dell’esistenza del protagonista. Come se si muovesse avviluppato in una nuvola di zucchero filato, mischiata all’occorenza con Xanax.
La rinuncia di Andrea alla socialità, «un’autarchia alcolica punteggiata da singhiozzi di rabbia e frustrazione e semi svenimenti sul divano», ricorda una versione maschile di Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh; per la prima volta il discorso degli psicofarmaci, del desiderio di murarsi in casa anestetizzando tutte le responsabilità, è declinato al maschile. In questi anni sono molte le scrittrici che si sono concentrate sul tema del disturbo depressivo, ma sempre da un punto di vista femminile. Approcciandolo in chiave meno approfondita, Schreiner attribuisce questo tratto al suo protagonista: un uomo ancora giovane, del tutto incapace di prendersi in mano, paralizzato da una sensazione di non saper fare, anche negli scambi con le donne.
Nonostante la protagonista di Ottessa Moshfegh sia molto più pericolosa e metodica nell’assumere psicofarmaci di ogni genere e voltaggio, anche Andrea scivola nella tranquillità indotta dai farmaci. «Con lo Xanax era più sciolto, predisposto a un approccio più morbido e rilassato verso qualunque situazione dovesse affrontare».
La vita di Andrea, sia online che offline, è una soap dove si materializzano «ragazze irraggiungibili, cotte segrete di cui non aveva mai avuto nemmeno il numero di telefono». Incoerente, si dispera per la perdita di Federica, eppure passa le successive pagine a desiderare ogni singola donna che attraversa il suo campo visivo.
Significativo lo spettro della vecchiaia. «Qual era lo scopo se a un certo punto il tempo avrebbe iniziato comunque a cannibalizzarti, come uno di quegli scooter abbandonati di cui alla fine resta solo il telaio e una ruota legata con una catena a un palo?», si chiede accorgendosi che la sua barba è color della cenere. E così la vita di Andrea procede, a sprazzi di passato nel presente, in un continuum di birre medie, correzioni di bozze di copioni, ragazze che “ciccano” per terra all’ingresso dei ristoranti e crisi improvvise con conseguente distruzione dei mobili di casa.
E anche Altre aspettative si sfoglia così, come un telefilm, ben orchestrato e in punta di piedi, tra flussi di coscienza, momenti di vita quotidiana e riflessioni, frasi a effetto e scene in presa diretta, rivelando senza eccessivo pudore tutte le velleità e le fragilità, i meccanismi mentali e le sconfitte, gli impulsi e i pensieri di un uomo contemporaneo di quarant’anni, che ha vissuto una vita ordinaria fatta delle piccole cose di cui è fatta ogni vita, e che per un momento ha creduto di poterla rendere straordinaria.
(Alessio Schreiner, Altre aspettative, Ensemble, 2021, 188 pp., euro 15, articolo di Teodora Dominici)
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