Moltitude di Stromae
Il ritorno dell'artista belga
di Luigi Ippoliti / 15 marzo 2022
Febbraio 2014, Sanremo, teatro Ariston. C’è questo ragazzo belga super ospite della finale che sta cantando un suo pezzo, “Formidable“. Si chiama Stromae e pare bravo. Forse qualcosa di più di bravo. Quello che fa lì sopra non è solo cantare. L’uso che fa del corpo è qualcosa che ha a che fare con il teatro. Con le performance. È solo, ma sembrano tantissimi. Ma allo stesso tempo quello che trasmette è una solitudine inconsolabile.
Passano otto anni. Cambia tutto. Cambia il mondo, cambia il suo mondo. Studi televisivi francesi, TV1. Alla domanda della giornalista su cosa l’avesse aiutato a superare la solitudine, Stromae risponde cantando. Lo fa senza soluzione di continuità. Come non potesse essere diversamente. Lo fa mantenendo la compostezza tipica dei telegionalisti. Parte un pianoforte in sottofondo. Non ci sono balletti, telecamere impazzite nello studio, luci sparate. La canzone parla di suicidio, “L’enfer“. Stromae-giornalista parla di suicidio come fosse routine da telegiornale delle 20.
Due performance diametralmente opposte, ma che in fondo sono la stessa cosa.
Tra un fatto e l’altro, tra Sanremo e TV1, tra Recine Carée e Moltitude, questo il nome del suo ultimo lavoro, sono passati nove anni. Nove anni difficili per Stromae: la malaria, le reazioni alla cura, la depressione. Questione nota e dolorosa.
Ma Stromae torna, e Stromae gioca sempre molto con l’immagine. La vive in maniera profonda, centrale. Lo sdoppiarsi, il triplicarsi, il quadruplicarsi, l’essere altro, soprattutto altro da sé. Non essere sé, perché essere sé è un paradosso. In fin dei conti non significa nulla. Nel discorso artistico l’immagine è punto focale (tanto intesa come sovraesposizione tanto come sottrazione totale), e per quello che rappresenta Stromae, non può non essere fondante per la sua poetica. Moltitudine è una delle parole che più si avvicina a ciò che Stromae è. A ciò che Stromae sono.
Moltitude, comunque, non è come Recine Carée, ancora meno come l’esordio Cheese. Da un punto di vista testuale abbiamo sempre un artista diretto, disperato, poetico: la sua capacità di mettere le mani nel torbido, nello sporco, lì dove spesso è meglio far finta di nulla, trasformandolo, è materia che prende nuova vita tra le sue mani. Nobilita senza troppi giri di parole cacca, pipì e pannolini per cantare di come l’essere padre lo abbia salvato in “C’est que de bonheure”. Ne esce un racconto di redenzione privo di moralismi o semplificazioni ed è in questa sensibilità che vive parte della cifra artistica di Stromae. Ed è sempre questa la linea che tiene durante l’album: che sia il punto di vista del figlio di una sex worker o di un misogino, non c’è mai retorica del sensazionalismo come vettore morale.
Musicalmente ce la ricordiamo invece l’eurodance di Recine Carée. Di come colpisse diretto alla pancia. Qui troviamo poco “Ave Cesaria” o “humain à l’eau“. I brani appartengono a un discorso più ampio rispetto al singolo. È necessario partecipare all’insieme. Bisogna ragionare di più e lasciare da parte l’istinto. Se in passato non era evidente questa necessità, ora lo è per e serve a metabolizzare l’ipercreatività afro beat, europop, trip-pop, hip-hop, l’erhu cinese, raeggaeton, caribeña. Tutto questo e il suo contrario. Stromae scrive un grande album mainstream.
Perché Stromae, infatti, è l’esempio di come il mainstream possa non essere tossico, possa non puntare necessariamente all’omologazione, possa non avere una spinta verso il basso per irretire la moltitudine della fruizione. Poter costruire un mainstream sano e non figlio dell’ordinamento dell’algoritmo – quantomeno non farne il perno -, per cui rispettare sempre e comunque certe regole di scrittura, senza dover necessariamente scendere a patti col diavolo, è il grande insegnamento che già oggi Stromae lascia in eredità alla musica: esistono altri modi. Quantomeno esiste la possibilità di mettere in discussione le logiche di un sistema che sembra sempre sul punto di esplodere in una bolla, ma che alla fine riesce sempre a rimanere in vita.
Stromae è un fenomeno, è eccezione, e una figura fondamentale di questi anni. L’augurio è quello di non dover aspettare altri nove anni per un suo album.
LA CRITICA
Passo in avanti per Stromae con Moltitude: difficile, al momento, chiedere di meglio dal mainstream.
Comments