For the sake of Bethel Woods dei Midlake
Il ritorno della band texana
di Luigi Ippoliti / 22 marzo 2022
Fu uno shock la notizia che Tim Smith avrebbe lasciato i Midlake. Era il 2012, loro uscivano da un ottimo album come The Courage of Others e a un certo punto sapere che quella voce non sarebbe più stata la voce dei Midlake mi destabilizzò. Tim Smith era ed è uno degli autori e uno dei cantanti più sottovalutati degli anni 2000 e non era ancora tempo di lasciare i Midlake.
Ci fu quindi un brevissimo rimpasto e come se non fosse successo nulla, Eric Pulido, fino ad allora chitarrista e seconda voce, prese le redini del gruppo. Il materiale che stavano producendo viene buttato via. Altra vita. Si rifà tutto daccapo, nessun problema.
Esce un anno dopo Antiphon e sembra passata un’era geologica. Pensare che solo nel 2010 facevano parte di quella splendida confessione di John Grant che prende il nome di Queen of Denmark.
Il desiderio di capire che forma avrebbero preso i Midlake senza Tim Smith era enorme, ma per forza di cose avrei voluto non succedesse mai (i Joy Division senza Ian Curtis hanno cambiato proprio tutto, no?) e allora niente esce questa cosa corale, maestosa, massimalista che è i Midlake ma non è i Midlake e che si chiama, appunto, Antiphon. La voce di Tim Smith ha delle venature che quella di Eric Pulido non ha e non avrà mai, per quanto oggi possa sforzarsi. Ma è proprio l’approccio alla musica che cambia, che ne fa altro.
Quello che era un mix Radiohead–Jethro Tull e che si manifesta in tutta la sua espressività nel capolavoro The Trials of Van Occupanther, si trasforma semplicemente in qualche altra cosa. Come se ci fosse stata una normalizzazione su un alt rock con tendenze prog che solo in apparenza faceva da seguito ideale di The Trials. Non era solo la voce, ma anche la scrittura. Alcuni spunti erano importanti, per esempio “Provider“, ma nulla arriva ai livelli di “You Never Arrived“.
Da quel momento a oggi sono passati nove anni. In nove anni possono aver pensato pure di tirare fuori una roba glitch con una voce tipo David Coverdale.
Chiaramente le cose sono più semplici, perché For the Sake of Bethel Woods è un tentativo più o meno dichiarato di tornare a certe atmosfere di Trials of Van Occupanther, questa volta per davvero. Ripercorrere qualcosa di già vissuto, assecondare un certo mood. Basta ascoltare il primo pezzo, ascoltare il suo incedere, il rapporto basso-batteria e la prima cosa che viene in mente è “Roscoe“, probabilmente il brano più rappresentativo dei Midlake-Smith, e abbiamo quindi le coordinate di quello che ci aspetta lungo il resto dell’album.
Tutto For the Sake of Bethel Woods cerca di venire fuori come il Trials of Van Occupanther dei Midlake-Pulido e in parte ci riesce con pezzi importanti come “Exile“, “Feast of Carrion” (dove la voce di Pulido brilla come mai fatto prima) o con il trasformismo di “Glistening“, ma alla fine, come il suo predecessore, finisce per essere incostante (c’è uno spunto alla Sufjan Stevens, “Noble“, che sembra buttato lì ed è uno dei limiti di questo album) e perdersi un po’ nella ricerca di qualcosa che non sembra essere più chiara (figlia dei fantasmi di Smith), senza avere quella capacità di Trials of Van Occupanther di mantenere un’attenzione e un’ispirazione costante.
Ma, e suona paradossale (sarà la nostalgia), riesce comunque nel suo intento di dare una certa dimensione ai Midlake, di ridare sarebbe più opportuno dire, provando a correggere il tiro, cercando di spostarsi su un discorso di autoconservazione – tendenzialmente meno fantasioso -, o quantomento idealmente autoconservatore per ciò che i Midlake rappresentano. Cercando di avere un suono folk ma che possa suonare folk come potrebbero fare i Radiohead se facessero folk nel prossimo album, con ballate malinconiche sulla scia del già citato John Grant pre-synth, la band texana scrive un album che può dare inizio a una nuova fase.
La sensazione è, infatti, che questa che emerge da For the Sake of Bethel Woods sia la dimensione dei Midlake: Smith, Pulido o chi per loro.
LA CRITICA
Buon ritorno dei Midlake con “For the Sake of Bethel Woods”, nove anni dopo il loro ultimo album, ma soprattutto dieci dopo l’addio dell’ex leader Tim Smith.
Comments