La complicità di una nascita
"Il filo invisibile" di Marco Simon Puccioni
di Elisa Scaringi / 8 aprile 2022
A metà tra dramedy e teen movie, Il filo invisibile, uscito su Netflix un mese fa, ha il pregio di raccontare con franchezza un tema dibattuto quale quello delle famiglie omogenitoriali. All’interno del progetto autobiografico My journey to meet you, avviato nel 2012 con il documentario Prima di tutto e seguito da Tuttinsieme del 2020, il regista Marco Simon Puccioni torna sull’argomento con un film di finzione per affermare che il cammino dell’inclusione è ancora lungo.
Il filo conduttore a guidare la storia è quello invisibile che lega le persone non per diritto di sangue, ma per scelta adottiva ed elettiva. Si può essere, infatti, più famiglia con due padri piuttosto che con due genitori di sesso diverso. O meglio, non può esistere una idea univoca e totalizzante di famiglia, ma deve entrare nello spirito comune la certezza che le famiglie possono intendersi soltanto al plurale, come molteplici e diverse fra loro. Il filo invisibile ci dice proprio questo: è assolutamente necessario scardinare le convenzioni sociali intorno alle famiglie omogenitoriali, perché i legami biologici possono non rappresentare l’ideale di perfezione.
La storia è molto semplice e lineare. Due padri, Simone e Paolo, crescono un giovane adolescente, Leone, messo al mondo da una madre surrogata statunitense che non ha mai interrotto il legame con loro. L’evento scatenante di un tradimento nella coppia omosessuale suscita malumori talmente turbolenti da innescare una domanda martellante: puntare sul test del DNA per dissolvere le incertezze che possono scaturire da un rapporto non fondato sul concepimento biologico? La risposta del film è negativa: nonostante i vacillamenti e le debolezze, un buon genitore si valuta sulla capacità di saper accogliere, curare, guidare e accompagnare nella crescita un’altra vita, al di là della propria mascolinità o femminilità.
Con la leggerezza tipica di una commedia drammatica, Il filo invisibile mette al centro il punto di vista di un adolescente, che durante tutto un anno scolastico lavora a un documentario sui diritti delle coppie LGBT in Europa prendendo a modello la storia dei suoi genitori. Non mancano tutti gli elementi tipici del teen movie: l’innamoramento, la scoperta della propria identità, il primo approccio con le droghe, la consapevolezza della maturità giovanile. Temi marginali rispetto all’intento primario di Puccioni, che riesce a proporre, anche grazie all’esperienza autobiografica, un lavoro apprezzabile per la sua scorrevolezza, sottendendo alla semplicità della fiction una questione non primaria per il dibattito istituzionale, ma sicuramente degna di molta più attenzione: la tutela dei diritti delle cosiddette famiglie arcobaleno.
(Il filo invisibile, di Marco Simon Puccioni, 2022, commedia, 103’)
LA CRITICA
Il filo invisibile mette al centro il punto di vista di un adolescente per sottolineare che le famiglie possono intendersi soltanto al plurale, come molteplici e diverse, dove l’essere uomo o donna conta poco rispetto alla capacità di saper accogliere, curare, guidare e accompagnare nella crescita un altro essere umano.
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