Il ritorno dello stregone
Parliamo di Sam Raimi, non di Strange
di Francesco Vannutelli / 6 maggio 2022
È ormai difficile trovare un reale motivo di interesse nell’esplosione continua di cinecomic nelle sale cinematografiche. Doctor Strange nel multiverso della follia rappresenta una solida eccezione per il ritorno alla regia di Sam Raimi.
Se esiste una cosa che è mancata ai film Marvel fino a questo momento è stato un vero e proprio tocco d’autore. La personalità dei registi coinvolti è stata spesso assorbita dai progetti a cui hanno lavorato, o ha portato a risultati trascurabili (è il caso del Thor di Kenneth Branagh o più di recente di Eternals di Chloé Zhao, l’autrice premio Oscar e Leone d’oro per Nomadland).
Con Doctor Strange nel multiverso della follia Raimi è riuscito a fare qualcosa di diverso. A livello di trama, il titolo rappresenta un nuovo punto di partenza nell’universo cinematografico verso quella è chiamata la fase 4. Dopo i fatti di Avengers: Endgame e gli incidenti di Spider Man: No Way Home, il dottor Strange e lo stregone supremo Wong si trovano ad aiutare una ragazzina sbucata dal nulla inseguita da demoni multidimensionali. È America Chavez, una giovanissima capace di muoversi tra i vari livelli del Multiverso. Per questo suo potere che ancora non riesce a controllare, è braccata da strane creature. Per aiutarla, Strange cerca l’aiuto di Wanda Maximoff, ma scopre che qualcosa di terribile ha sconvolto per sempre l’ex Avenger.
Sam Raimi è stato tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta uno dei registi più interessanti e visionari grazie a film come La casa, Darkman o L’armata delle tenebre. A partire dal 2002 ha contribuito a formare il cinema di fumetti così come lo intendiamo oggi con la sua trilogia di Spider Man, raffinato equilibrio di azione, commedia e introspezione psicologica.
Con Doctor Strange nel multiverso della follia il regista statunitense torna indietro nel tempo al suo passato a tinte horror e fantasy. Il film unisce magia, demoni e zombie, maledizioni e libri oscuri. Mai un film Marvel aveva assunto toni così oscuri, mai un personaggio malvagio era risultato così concretamente spaventoso.
Il tocco del regista si nota in tutta la seconda avventura in solitaria (che poi è solitaria fino a un certo punto) dello stregone interpretato da Benedict Cumberbatch. Era dal sottovalutato Il grande e potente Oz del 2013 che Raimi non dirigeva un film. Se nove anni fa aveva dimostrato di essere in grado di rielaborare un immaginario consolidato come quello di Il mago di Oz per aggiornarlo, con Doctor Strange fa qualcosa di analogo dimostrando che è possibile essere originali e interessanti anche quando c’è da portare avanti una macrotrama sempre più complessa.
La verità è che sta diventando sempre più difficile godersi un film Marvel senza tutti i punti di riferimento. Per capire Doctor Strange nel multiverso della follia c’è bisogno di conoscere il primo film, gli ultimi Avenger, l’ultimo Spider Man, la serie tv WandaVision e qualche episodio di What If? e Loki.
L’universo Marvel sempre più ampio si consolida con legami e rimandi continui, soprattutto nei film più importanti come questo. Il grande vantaggio di Doctor Strange nel multiverso della follia è che la presenza di Raimi garantisce motivi di interesse anche a chi non ha voglia di badare a rimandi, sottintesi, camei più o meno sorprendenti e tracce per possibili sviluppi.
Doctor Strange 2 è un film ampio, complesso e visionario che accontenta anche chi cerca una semplice esperienza filmica visionaria tra spettacolo, divertimento e horror.
(Doctor Strange nel multiverso della follia, di Sam Raimi, 2022, fantastico, 127’)
LA CRITICA
La regia di Sam Raimi dà una personalità inedita al cinecomic Marvel portandolo verso le frontiere del fantasy e dell’horror. Per il resto, Doctor Strange nel multiverso della follia espande ancora di più gli orizzonti di un universo ormai troppo ramificato e complesso.
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