State dalla nostra parte
A proposito del film "Le nuotatrici"
di Elisa Scaringi / 2 dicembre 2022
Le storie vere raccontate dal cinema hanno sempre un certo fascino, segno che la vita reale non ha mai nulla di banale. Nel nostro paese poi, con un governo che appena insediatosi si è concentrato con particolare attenzione sul tema dell’immigrazione, il film Netflix Le nuotatrici potrebbe essere quello che ci voleva nel tentativo di aprire gli occhi a quanti sono concentrati su numeri e paure.
Sebbene non racconti una storia italiana (come fu per il documentario Ghiaccio di Tomaso Clavarino, che seguiva i passi dei sei ragazzi fondatori della prima squadra di curling composta da soli rifugiati), la regista Sally El Hosaini lancia un messaggio universale, soprattutto all’Europa: la cura dell’umanità non può prescindere dall’accoglienza, e dall’accoglienza dovrebbe nascere la volontà politica di creare corridoi umanitari sicuri e legali. Si tratta di un tema enorme, difficile da costruire quando i soggetti in campo sono molti, ma l’Europa, quale continente vincitore del premio Nobel per la pace nel 2012, dovrà per forza dare delle risposte umane e coese.
A dieci anni da My Brother the Devil, con protagonisti due fratelli britannici di origini egiziane, Le nuotatrici racconta di un viaggio al femminile. Due sorelle siriane decidono di scappare dalla guerra per rifugiarsi in Germania, dove sperano di far arrivare anche i genitori e la sorellina attraverso il ricongiungimento famigliare. La loro avventura viene, però, segnata negativamente dal gommone su cui salgono per arrivare a Lesbo, dalle vesciche ai piedi dopo giorni lungo i binari della ex Jugoslavia, dai camion senza ossigeno, dai contrabbandieri che approfittano della disperazione per fare soldi. Già fin qui il film potrebbe concludersi, talmente è grande il carico di emozioni che vengono evocate: la speranza e la paura, l’immaginazione e la rassegnazione, il futuro segnato da un presente atroce e un passato costellato dalla domanda se le bombe non fossero state meno dolorose di quel lungo viaggio.
La regista però ci racconta anche un’altra storia: scappare non significa lasciarsi alle spalle la vita. Anzi, i sogni possono trasformarsi nell’unica motivazione per continuare a camminare, e trascinarsi nonostante la fatica e la disperazione. Così è stato per Yusra Mardini, nuotatrice instancabile. Arrivata finalmente in Germania ricomincia ad allenarsi per gareggiare. Il papà è lontano, la Siria è ormai un paese pieno di macerie, ma la fiaccola della passione non si è mai spenta. Nuotare con la squadra dei rifugiati significa portare ancora più in alto la bandiera della patria abbandonata. Diventata poi Ambasciatrice di Buona Volontà dell’UNHCR, si è fatta portavoce di quanti non vogliono rinunciare al proprio futuro. «Non c’è da vergognarsi nell’essere un rifugiato se ricordiamo chi siamo. Siamo ancora i medici, gli ingegneri, gli avvocati, gli insegnanti, gli studenti che eravamo quando ci trovavamo nelle nostre case. Siamo ancora madri e padri, fratelli e sorelle. Sono state la guerra e le persecuzioni a costringerci ad abbandonare le nostre case per cercare la pace. Questo vuol dire essere un rifugiato. Ecco chi sono io. Ecco chi siamo tutti noi, quella popolazione senza patria che cresce di giorno in giorno. Sono una rifugiata e sono orgogliosa di battermi per la pace, l’onore e la dignità di tutti coloro che fuggono dalla violenza. Unitevi a me. State dalla nostra parte».
(Le nuotatrici, di Sally El Hosaini, 2022, drammatico, 134’)
LA CRITICA
Le nuotatrici è un film che racconta una storia vera, costruita con onestà dalla regista Sally El Hosaini, cittadina britannica cresciuta in Egitto. Il messaggio che lancia è di forte attualità: invita a non avere paura, sia per l’Europa che deve accogliere sia per i rifugiati che non devono vergognarsi.
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