Corpo libero
di Noemi Cuffia / 17 aprile 2011
“Io avrei voluto non avere gli occhi, non essere lì e non conoscere niente”. Dice a un certo punto la protagonista di questa storia, Martina, ginnasta professionista, quattordicenne con i capelli rossi.
E invece i suoi occhi e il suo corpo vedranno e conosceranno tutto, in poco tempo, nel modo più drastico e accecante possibile.
Lei e le sue compagne di squadra volano in Romania per le qualificazioni alle Olimpiadi. Martina capiterà in stanza con Carla e Nadia, la numero uno (Carla) e la numero due (Nadia), unite tra loro da un oscuro legame inossidabile, nel freddo albergo fatto di corridoi, camere semichiuse e vetrate da cui si vede la neve cadere di continuo.
E questo romanzo prende vita proprio lì, tra le stanze, la palestra, gli attrezzi e il bosco fitto dove forse si aggirano i lupi, lupi spietati. Come spietati sono gli allenamenti, compresi quelli delle altre squadre che le ragazze spiano di continuo (rumene, cinesi, giapponesi). Dove c’è anche la Petrika Ladeci, la migliore, la più brava e bella di tutte, la più odiata.
Nell’arco della settimana che precede la domenica della gara, come attraverso un microscopio, osserviamo la vita quotidiana delle piccolissime – per statura e corporatura – ginnaste e tutte le loro ossessioni, paure, scaramanzie, speranze.
E vediamo molto da vicino con la lente di ingrandimento l’amicizia che lega le ragazze, come le famiglie, anche a distanza, influiscono sulle loro vite e sul loro destino e la durezza degli esercizi, l’inconsistenza dei coach, la fatica di crescere, la dedizione alla grazia del corpo. Che infatti è al centro di tutto. Un corpo che non deve cambiare, schiene che devono piegarsi come serpenti, mani piene di calli, ossa che si sgretolano, bagni nel ghiaccio, capelli lucidi e bellissimi, pelle luminosa, brillantini e trucco che non dovrebbe sciogliersi mai, muscoli forti, concentrazione potente, in quel tempo in bilico e conturbante che è l’adolescenza piena, vissuta però in un’inaudita cattività.
Corpo Libero, di Ilaria Bernardini, editore Feltrinelli è un romanzo sorprendente. Un cronista d’assalto lo definirebbe forse un romanzo-choc. Di certo un romanzo perfetto. Costruito con la minuzia di un orologiaio ma dotato di un’intensità emotiva altissima, che sconvolge in silenzio. Dettato tutto dalla voce di Martina, tranquilla, povera come sa di essere, come le ricorda sempre la campionessa Carla che è anche la capa di tutte, innocente ma al tempo stesso sveglia, troppo sveglia anche quando vorrebbe dormire e osservatrice attenta, che prova a sollevarsi, come sulle parallele, dalle cose spaventose che vede, con la sola forza delle braccia, con la sua immaginazione ancora di bambina, con le sue fissazioni che l’aiutano ad andare avanti, con la struggente voglia di fuggire e con il suo linguaggio, che l’autrice usa con un’immediatezza molto felice, simile a un adesivo che lei mette sul mondo per provare a capirlo e a viverci dentro.
Questo libro colpisce forte, non lascia indifferenti, costringe alla minuzia e alla totalità di sguardo, e produce lo stesso effetto di quelle stesse gare di ginnastica che racconta con la massima precisione, con estrema cura di ogni più piccolo particolare. Questa lettura debilita, fa male, ci si sente feriti, con i muscoli indolenziti e pieni di lividi, però alla fine la libertà cui allude il titolo emerge: è la libertà che nasce dal sapere come stanno le cose, dall’aver guardato senza paura in un mondo sconosciuto, di non aver girato gli occhi da un’altra parte.
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