Suppliziario salgariano
di Andrea Viviani / 1 giugno 2011
Di rado gli apparati superano in qualità un testo. E quando accade, di norma è nella saggistica accademica, certo non nella narrativa. Men che meno la narrativa dei mostri sacri, dei totem della Patria. È così, però, per il Suppliziario salgariano. Lì Introduzione e Prefazione non sono tali e quali: sono pagine di biografia culturale. Tracce di vita estetica, saggi d’amore (è il caso di dirlo..) viscerale. Non fosse che davvero è delizioso piacere leggerle (quanto garbo, e che toni amabilmente culti!), si sarebbe tentati di dire che non rendono, quegli scritti, buon servizio al testo. Perché io (almeno: magari tu no, e lì sta il bello) ho trovato più suggestiva l’eco lasciata dai testi in Bozzo e Urso che… il testo stesso. Sublime paradosso. Non me ne voglia il buon Emilio, autore ai miei occhi stavolta davvero in secondo piano. Di un testo, nella coniugazione del curatore, che si fa centone. Un Reaper’s Digest, ecco. Ben organizzato, intendiamoci. Molto. Ben antologizzato, ben (acuta scelta!) titolato excerpt per excerpt (con un pizzico, talvolta, di macabro compiacimento: ma ci sta, perché lascia l’orrore al limbo per il quale era congeniato: la finzione letteraria. Anche se… Salgari non evitava di marcare, quando opportuno, la veridicità di orrori ‘riportati’: “storico”, il tag del ‘vero’ vs. il ‘verosimile’. A che pro? brivido… può accadere a te, se lì t’avventuri!). E al centone paga scotto, questo libriccino (104 pagine): riffa o raffa, gira e rigira (…), alla fine quello è (un po’ come De Sade, no? Sempre la stessa solfa…): infliggere dolore e morte a volte a titolo (punizione del cattivo) a volte no (il cattivo tale è a scapito del giusto). Certo la compressione in sequenza dei brani esemplari non aiuta a evitare l’effetto che barba!: corsi e ricorsi, alla fine, anche nelle tecniche di tortura. Negli originali, c’è da pensarlo, magari tra uno sbudellamento e l’altro qualcosa pure accadeva. Titilla, leggere così, si fa l’inventario ce l’ho mi manca ce l’ho; poi, però, viene a noia specie se tu, beccariano convinto, non distingui (come Salgari?!) tra tormento meritato e immeritato. Che resta al lettore? La sgradevole sensazione che anche Sandokan fosse un infame (commina, commina pure lui… e che supplizi!); la (s-)gradevole sensazione di trovarsi nel lato fortunato del globo (sempre che si evitino manifestazioni a rischio o fermi e custodie in terre di nessuno); il fastidio per non riuscire tu, schiavo dell’immagine in movimento, a provare nemmeno alla lontana, alla buona, nemmeno sforzandotici una, una almeno delle sensazioni così bene descritte da Bozzo e Urso (ecco, cos’è, il loro: un duplice memoriale delle suggestioni cartacee! Un bi-monumento alla fantasia indotta dalle parole!). Meno culta, ma non meno potente, il Suppliziario ti lascia con una nuova, motivata – non alla luce, stavolta, di considerazioni vegeto-veghiane (scarso appeal, se come me misuri 182 cm per 100 kg) e davvero sentita avversione per barbecue e sushi. Leggi, lettore, leggi… E dimmi, poi se esagero… o meno.
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