“Luchino Visconti. Rocco e i suoi fratelli” di Mauro Giori
di Mario Massimo / 28 novembre 2011
Dobbiamo a Mauro Giori (Luchino Visconti. Rocco e i suoi fratelli, Lindau, Torino, 2011, € 19.00) una lettura molto più approfondita, e ricca di significati, del film di Visconti, che ci aveva conquistati all’epoca della sua uscita, quando si era poco più che ragazzi, o anche in successive rivisitazioni, più di recente, in videocassetta, ma quasi soltanto per le splendide doti narrative dell’intreccio (magari, certo, un po’ troppo “a forti tinte”, non fosse altro che per il modo perfino macchiettistico che la Paxinou ha di rendere sguaiato ed esteriore il personaggio della madre-matriarca meridionale: ma dietro la Paxinou potrebbe occhieggiare – ironizzato? – il modello, assai familiare al Visconti scaligero di quegli anni, di una non meno aggressiva Maria Callas…).
Se poi, su suggestione della lettura, si ripassa la cassetta o il DVD del film, alla luce della lettura di Giori esso risulta davvero assai più denso di significati. Ciò di cui occorre soprattutto ringraziare l’autore è il riferimento al modello dostoevskiano dell’Idiota, che conferisce una valenza assolutamente più profonda alla bellezza decisamente strepitosa (si può tranquillamente ammetterlo, anche oltre ogni personale “scelta di campo” sessuale, ovviamente!) di Alain Delon: che è, veramente, qualcosa di più conciso e significante di ciò che Mann attribuisce al suo Giuseppe in lunghe, compiaciute descrizioni (si sa molto di più, oggi, circa la componente omoerotica di Mann, di quanto si potesse osare di dire nel 1959), ma soprattutto, il perfetto corrispondente iconico di quella “angelità”, così stigmatizzata, et pour cause, direi, da Testori co-sceneggiatore, che deriva al personaggio dal modello dostoevskiano.
Al cui proposito, solo in questa ultima rivisitazione del film chi scrive ha fatto caso a un particolare forse minimo, ma che, alla luce delle acute osservazioni del libro, non appare del tutto privo di significato: il fatto, cioè, che non solo, come Giori giustamente nota alle pp. 118-119, nella sequenza della tintoria, attraverso la formula femminilmente favolistica a cui ricorre la commessa, ma anche nel primo dialogo fra Rocco e Nadia, seq. 18, inqq. 311-318, costei apostrofi il ragazzo con termini dialettali milanesi che sono tutti sinonimi di “idiota”. Potrebbe, insomma, essere un modo elegante, da parte di Visconti, oltre che di caratterizzare a dovere il personaggio di donna “indurita” dalla sua condizione umana, che Nadia deve rappresentare, di indicare esplicitamente la sua fonte di ispirazione, per il personaggio di Rocco.
Ancora grazie, dunque, a Mauro Giori dell’impegno davvero affettuoso con cui ha trattato questo film che, soprattutto se visto alla luce del “dopo” (il dopo politico, anche, con ”Africa” e la Lega e tutto il resto, e benché il fervorino vetero-comunista della sequenza di Ciro, baciato dalla sua legittima ragazza acqua-e-sapone e circondato da solidi operai in tuta che si avviano al sano lavoro in fabbrica, sia ovviamente la cosa più datata, e perfino imbarazzante, dell’intera sceneggiatura: ma non più dei discorsi di fra’ Cristoforo o del Cardinal Borromeo in Manzoni, et pour cause, ancora…!), di che cosa, oggi, siamo abituati a vedere nei cinema, non fa che giganteggiare nettamente.
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