“Hotel Locarno” di Alain Elkann
di Marianna Solari / 16 gennaio 2012
Definirei Hotel Locarno “un romanzo in diretta”. Perché «il romanzo e la vita talvolta possono sovrapporsi».
Uno scrittore confessa al suo analista Vittorio Olmi una particolare stasi inventiva. Ha idee vaghe su ciò che nel nuovo romanzo intende scrivere, ha bisogno di qualcuno che lo sproni, che crei insieme a lui. Ed è da questo connubio che si sviluppa la storia di un uomo, Michael Dufay, famoso critico d’arte, settantenne, «consapevole di essersi sempre abbandonato a una vita liquida, irresponsabile, guidata soltanto dalle sue pulsioni e dai capricci. Aveva amato, odiato, sofferto, letto, bevuto, aveva fatto a pugni, era stato solo, aveva speso molti soldi, e ora non sapeva più nemmeno giudicare se Gabriela era davvero stata il suo grande amore, o se aveva commesso un errore sposando Daisy. E poi l’incontro con Gloria, a cui non era stato capace di resistere. Adesso, come in un film, era scappato salendo sulla prima barca che aveva trovato ed era approdato su un’isola. Non aveva nessuna voglia di assumersi delle responsabilità, voleva solo cancellare i suoi pensieri ondivaghi».
A una mostra incontrò Daisy: si contraddistingueva per «la sua ingenuità, i suoi colori pallidi, la sua carne soffice». Donna molto diversa dalla precedente: «Gabriela era una donna golosa, Daisy invece era pudica e schiva». Si sposarono a Madrid e «nei primi tempi Michael si era dimostrato innamorato di Daisy, paterno nei confronti di suo figlio, ma presto avevano cominciato ad affiorare lievi tensioni, piccoli screzi, leggere delusioni».
Il senso di fallimento indusse Michael ad abbandonarsi fin troppo spesso alla sua amata “bottiglia”, devastandosi di continuo, frustrato, alla ricerca di quella felicità che lui per primo non era in grado di riconoscere e accudire con dedizione.
Tra uno sfogo e l’altro, il lettore si ritrova avviluppato in un’incredibile maglia di eventi in fieri in cui capita di perdere il filo per poi ritrovarlo solo alla fine, dopo il curioso ingresso di Gloria nella vita di Michael che, «ormai separato da Daisy, mentre sfogliava svogliatamente il “Financial Times” in un coffee shop di New York aveva letto l’annuncio di Gloria, la quale si descriveva come una vedova di bell’aspetto, appassionata di opera lirica. […] Lo avevano colpito […] una spontaneità e un’ingenuità che gli apparivano desuete, e per questo attraenti. Doveva trattarsi di una creatura romantica, una sognatrice dall’indole avventurosa».
Dopo una piccola corrispondenza l’appuntamento viene fissato in Italia, a Roma, ma, per una serie di vicissitudini e paure, è su un treno per Napoli che alla fine si incontrano. Stavolta per caso.
«Avevano fatto l’amore con lentezza, per capire in che modo far combaciare i loro corpi». Ma neanche questo riesce a distogliere Michael dal suo individualismo, preferendo sparire in silenzio imbarcandosi alla volta di Capri. Solo e perennemente ubriaco.
Se è vero che «è solo dopo aver scritto le prime cento pagine che si può cominciare a capire se c’è una storia o meno», queste centonove pagine sono per certi versi uno spaccato di come oggi si abbia poca voglia di volerne una, di storia. Si è fin troppo presi da se stessi, dalle proprie abitudini, dal dio Ego che regna sovrano, quasi come se un amore possa rovinare un “certo” equilibrio piuttosto che crearlo.
Sì, perché chi nella vita ha amato davvero almeno una volta, sa che la vera libertà è in due che si raggiunge, non da soli. E chi ottiene questa consapevolezza in tempo, questa ricchezza interiore, non ha certo bisogno di evadere con l’alcol, di andare dall’analista o di scappare isolandosi, schiavo di sé.
È realmente libero solo colui che ha appreso l’arte del donarsi.
(Alain Elkann, Hotel Locarno, Bompiani, 2011, pp. 112, euro 14,90)
Comments