“Die Frau ohne Schatten” al Teatro alla Scala di Milano
di Mario Massimo / 7 aprile 2012
L’intervista rilasciata a Classic Voice Opera n. 57 aiuta ad aprire uno spiraglio all’interno della logica (se così proprio vogliamo chiamarla…) che muove la lettura registica data da Claus Guth a Die Frau ohne Schatten, di Richard Strauss, in scena lo scorso mese alla Scala: contando anche, il regista se lo lascia incautamente scappare, sull’ignoranza crassa del pubblico cui si rivolge (lui dice, più educatamente, che «il pubblico milanese non ha un’idea preconcetta», di un’opera di sicuro tutt’altro che familiare, ai nostri malati di “bohèmite” e di “traviatite”). Così, dunque, sappiamo (udite udite!) che l’Imperatrice non è – ça va sans dire – la creatura fiabesca che il libretto pretende che sia (dunque, via costumi e scene più o meno orientali e di fantasia, se non per le “batmanesche”, e un tantino comiche, ali d’angelo nero che affliggono i personaggi villain quali la Nutrice: solo, com’è ormai d’obbligo, nelle regie d’opera “intelligenti”, camicioni bianchi, per il letto, e simili costumi del tempo e del luogo in cui l’opera è stata composta), e nemmeno, come più di uno spettatore avveduto potrebbe facilmente sospettare, un fin troppo trasparente calco di un Hofmannsthal che, sul versante sanguinoso della prima guerra mondiale (intercorre fra la stesura del secondo atto e quella, infinitamente più laboriosa – e si vede! – del terzo) si sente “senz’ombra”, messo, per storia famigliare, per cultura, forse anche per carattere, al di fuori del flusso pulsante di una esistenza che gli fa un bel po’ di ribrezzo. No, sappiate che qui siamo di fronte all’«incubo notturno» (e questo sì, lo si è avuto, anche noi…) di una giovane donna che il padre e il marito «tendono a considerare solo una “bambola”», e l’ombra di cui manca, non è – come ingenuamente pensavamo noi – la capacità (la voglia?, com’è poi per il suo alter-ego, la Moglie del tintore Barak) di entrare nel flusso della vita, dandola ad altri esseri umani: no, altro non è che «l’emancipazione». In pieno 2012! Ancora con questa solfa vetero-femminista (ibseniana, perfino)! Davvero, si fa fatica a comprendere perché tanta ruvida mancanza di sensibilità (per un’opera come questa, poi!, così pericolosamente in bilico sul crinale del simbolo, e magari anche non del tutto ben servita dalla greve speziatura della salsa orchestrale e motivica straussiana), debba essere premiata dall’offerta della prestigiosa regia del prossimo spettacolo inaugurale della stagione scaligera: non per un – mai abbastanza deprecato – provincialismo, ma davvero non avevamo proprio nessuno, qui da noi, che fosse un po’ meno macellaio?
Die Frau ohne Schatten
di Richard Strauss
direttore Marc Albrecht
regia di Claus Guth
Andato in scena dall’11 al 27 marzo 2012 presso il Teatro alla Scala di Milano.
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