“Uccidere il padre” di Amélie Nothomb
di Chiara Gulino / 19 aprile 2012
Il cappello nero a cilindro è inconfondibile. Questa volta nella sua ventesima fatica, Amélie Nothomb, travestita da se stessa, compare in scena all’inizio del suo ultimo romanzo, Uccidere il padre (Voland), a un raduno di maghi a Parigi il 6 ottobre 2010. Qui incontra due uomini americani, uno sui trent’anni che ammalia la platea di un bar con i suoi giochi illusionistici, e uno sui cinquanta che se ne sta voltato di spalle seduto al bancone totalmente indifferente allo spettacolo. Palese è il riferimento del titolo al complesso di Edipo, uno degli archetipi della civiltà occidentale: uccidere l’autorità rappresentata dal padre per liberarsi dalle soffocanti e opprimenti aspettative che i genitori ripongono nei figli per essere padroni delle proprie scelte e finalmente diventare adulti. Questa allusione è confermata dalla vicenda di questo romanzo di formazione sui generis. Il protagonista, infatti, Joe Whip, aspirante mago dallo straordinario talento, giacerà con la madre (non quella biologica però) e finirà, sia pur simbolicamente, per uccidere il padre (putativo).
È dal secondo capitolo che prende avvio il racconto a rebour con una digressione al 1994. Joe ha quattordici anni, un padre che neanche la madre sa chi sia e una madre, Cassandra, dalla vita sentimentale disordinata che cambia’ continuamente partner di cui non ricorda neppure il nome. Il suo più grande desiderio è far durare una relazione più di due settimane. Ironia della sorte vuole che l’ultimo della serie abbia un nome che Cassandra non può dimenticare, Joe. A questo punto in casa c’è un Joe di troppo. Uno dei due deve andare via. A essere allontanato, contrariamente a qualsiasi legge sui minori, è il più piccolo. Così Joe va a vivere in un albergo, mantenendosi con la paga che gli passa la madre snaturata e con le mance che guadagna esibendosi come mago nei locali. La magia infatti è la sua grande passione, che il ragazzo coltivava sin da piccolo sottoponendosi nella solitudine della sua cameretta a esercitazioni estenuanti. Joe ha mani formidabili e di questo si accorge un avventore di un bar che una notte lo osserva allenarsi prima che il locale si riempi. È da quest’uomo che Joe viene a conoscenza che lì a Reno, nel Nevada, vive uno dei più grandi maghi, Norman Terence. Joe decide che Norman sarà il suo maestro. Senza incontrare alcuna difficoltà viene accolto dall’illusionista, addirittura in casa sua, dove abita con la compagna di venticinque anni Christina, una fire dancer dall’infanzia difficile vissuta in una comunità hippy tra funghi allucinogeni (una costante presenza nei libri della Nothomb) e LSD.
Ecco che il quadretto familiare è ricomposto: Norman, dapprima amato come un padre viene da Joe odiato a tal punto da chiedergli di imparare a barare (pensa l’onesto Norman «Mi adora come un moccioso di quindici anni adora suo padre. Quindi mi vuole uccidere») e Christina diventa oggetto del suo desiderio sessuale.
È da questo punto che la storia si complica fino al culmine rappresentato dalla partecipazione di Joe al Burning Man, festa dei virtuosi del fuoco e della danza.
La scrittrice belga, con un abile gioco di prestigio, rovescia il mito edipico facendo sì che sia il padre adottivo a ricercare la legittimazione del suo ruolo genitoriale. La Nothomb analizza così il rapporto conflittuale genitori-figli dalla sua personale e originale prospettiva secondo la quale essere rifiutato o scelto si profila come atto imposto o subito.
Bisogna arrivare fino alla fine del libro per scoprire i reali moventi affettivi che fanno agire i protagonisti della storia, personaggi tagliati con l’accetta dalle frasi brevi, lapidarie e ironiche caratteristiche dello stile nothombiano.
E come sempre i finali dell’autrice belga sono spiazzanti, provocatori e rischiosi perché chi gioca con le parole può scottarsi e scottare proprio come i fire dancer mettono a repentaglio, oltre la propria, la vita degli spettatori. Ma, del resto, scopo della letterature, proprio come della magia, «è indurre l’altro a dubitare della realtà».
(Amélie Nothomb, Uccidere il padre, trad. di Monica Capuani, Voland, 2011, pp. 91, euro 9)
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