“Kingsman – Secret Service” di Matthew Vaughn
Un gruppo di elegantissime spie deve salvare il mondo
di Francesco Vannutelli / 24 febbraio 2015
C’è un gruppo di agenti segreti di cui nessuno conosce l’esistenza. Sono nati negli anni Venti, indossano abiti di estrema eleganza e usano i più avanzati gadget tecnologici. Si chiamano con dei nomi in codice che sono Artù, Lancillotto, Merlino, Galahad e si riuniscono intorno a una tavola che non è rotonda, ma rettangolare, e si trova negli uffici di un’esclusiva sartoria di Londra. Prima dello scoppio della prima guerra mondiale erano i sarti che vestivano gli uomini più importanti del Regno Unito e del mondo. Dopo la guerra molti di quegli uomini sono morti e i sarti sono rimasti con un capitale immenso di denaro e conoscenze da poter sfruttare. È stato in quel momento che è venuta la decisione di fondare i Kingsmen, la società di agenti segreti che combatte il crimine a colpi di ombrello in giacche di tweed. Nella Londra d’oggi, Eggsy è un ragazzo problematico che galleggia tra la miseria e le delinquenza nella periferia di Londra. Ignora che suo padre, un tempo, fosse stato Lancillotto, e che è morto in servizio. Quando anche il nuovo Lancillotto muore in missione, Galahad, che era stato amico di suo padre, lo va a cercare per farlo diventare un Kingsman e combattere insieme contro un miliardario con un folle piano per bloccare il sovrappopolamento del pianeta.
Matthew Vaughn, ormai, è uno specialista di cinecomic. È passato dall’indipendente Kick-Ass al blockbuster X-Men L’inizio, e in tutti e due i casi, e in modo diverso, ha fatto più che bene. Ora ci riprova in stile britannico adattando il fumetto The Secret Service di Mark Millar e Dave Gibbons.
C’è molta ironia in Kingsman – Secret Service, tutta quella che basta per nascondere i limiti di originalità. Del resto, non è altro che una parodia dei film di spionaggio classici (James Bond su tutti) e moderni (vengono citati Jason Bourne e Jack Bauer, tutti JB, come il cane di Eggsy), e di parodie dei film di spionaggio non è che se ne siano fatte poche nella storia.
Quello, però, in cui Vaughn è bravo è nel giocare correttamente con l’ironia evidenziando nello stile e nei dialoghi come tutto quello che mostra sia mirato a dissacrare il repertorio classico. C’è un supervillain, Valentine, che non ha niente di spaventoso o titanico: veste male, è ignorante, tendenzialmente stupido, poco raffinato, non sopporta la vista del sangue e ha perfino la zeppola. il suo piano criminale non nasce da un desiderio di arricchimento o di potere come ogni boss che si rispetti, ma da un malinteso spirito umanitario e ambientalista: del resto, se l’umanità rischia di estinguersi perché sul pianeta ci sono troppi abitanti e i consumi sono troppo alti e quindi c’è l’effetto serra e il riscaldamento globale eccetera, è lecito, anzi, doveroso realizzare un piano per eliminare un po’ di gente.
Eggsy, dall’altra parte, si inserisce nel mondo ingessato dei Kingsmen, tutto grandi college e nobili famiglie, con la sfrontatezza classica del ragazzo di strada. Dal rapporto con Galahad si sviluppa la trama parallela di Kingsman – Secret Service della formazione del ragazzo da ribelle a impeccabile agente segreto. Galahad rifiuta già di suo le convenzioni e gli obblighi che si vorrebbero come necessari per essere un Kingsman, lo snobismo e la «mente debole aristocratica» che impediscono ad Artù di comprendere del tutto come va il mondo. In Eggsy trova l’allievo ideale, la materia grezza con cui formare un nuovo tipo di gentleman, come in Una poltrona per due, o Nikita, o Pretty Woman, o My Fair Lady (da un dialogo tra Eggsy e Galahad).
Tra le righe, Vaughn porta avanti il suo lavoro ironico di distruzione dell’iconografia del cinema che aveva iniziato con Kick-Ass spostandosi dai supereroi alle spie. In realtà, tra i due momenti del suo cinema si può trovare più di una linea di continuità, perché la formazione dei giovani Kingsmen può ricordare l’addestramento dei giovani X-Men – persino la scuola è molto simile – e perché, tutto sommato, l’abito del gentleman non è altro che il suo costume da supereroe in The Secret Service. La volontà dissacratoria, però, è qui molto più esplicita che con i cinecomic tradizionali. Ci sono dialoghi che si rivolgono direttamente al frasario di Bond, scene fisse dei film di spionaggio – combattimenti, viaggi in aereo, catalogo delle armi, eleganza a pacchi – che vengono smontate. La base di Valentine sembra uscita da Moonraker o da Austin Powers. Lo spirito generale, soprattutto nell’understatement, ricorda quello di Casino Royale (non quello con Daniel Craig, quello del ’67 con David Niven, Peter Sellers e Woody Allen). Kingsman, però, non ha paura ad andare oltre i limiti degli eleganti doppi sensi e delle velate allusioni, come si vede nel finale tra Eggsy e la principessa di Svezia.
Proprio da questa irriverenza nei confronti del mondo classico di Bond e compagnia si scatena il comico. Vaughn, inoltre, conferma tutto il talento registico in sequenze di azione complesse e veloci. Gli va dietro un cast divertito: Colin Firth fa Galahad, Michael Caine Artù, Mark Strong Merlino, Samuel L. Jackson Valentine, mentre Taron Egerton, dopo la serie britannica The Smoke, trova il suo primo grande ruolo al cinema.
(Kingsman – Secret Service, di Matthew Vaughn, 2015, azione, 129’)
LA CRITICA
Senza esagerare in originalità, Kingsman – Secret Service smonta l’immaginario spionistico alla Bond con ironia iconoclasta. È intrattenimento puro: spettacolare, veloce, divertente, con un cast che non ha paura di prendersi in giro.
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