“Anna” di Niccolò Ammaniti
Ammaniti immagina un mondo senza adulti
di Francesco Vannutelli / 16 ottobre 2015
Pare che l’idea di Anna, l’ultimo romanzo di Niccolò Ammaniti uscito per Einaudi lo scorso 29 settembre, sia nata durante una vacanza siciliana. Ammaniti era in spiaggia e osservava un gruppo di bambini giocare sotto lo sguardo attento dei genitori. Come si comporterebbero quegli stessi bambini se il mondo adulto non esistesse, se fossero loro gli unici su quella spiaggia, in tutta la Sicilia, in tutto il pianeta?
È proprio questo lo spunto di partenza. In Sicilia, nell’anno 2020 circa, Anna è una bambina di forse tredici anni rimasta sola con il fratellino Astor. I genitori sono morti, come tutti gli adulti. Un virus, arrivato dal Belgio, fa ammalare e poi uccide tutti. I primi sintomi compaiono con l’inizio della pubertà, il corpo si riempie di macchie rosse, sale la febbre e si muore. La chiamano La Rossa. Al mondo sembrano essere rimasti solo i bambini, senza un mondo adulto a cui affidarsi. Vivono senza regole. Forse la salvezza è fuori dall’isola, ma non ci sono certezze. Anna decide di partire verso la Calabria con il fratello, un cane guerriero che ha iniziato a seguirla dopo uno scontro e un ragazzo di nome Pietro.
L’adolescenza è sempre stata centrale nei libri di Ammaniti, come momento di passaggio, come momento di confronto con le regole consolidate del mondo adulto. In Io e te, il suo ultimo romanzo di ormai cinque anni fa, aveva isolato un ragazzino dal mondo dei grandi confidandolo, volontariamente, in una cantina. Con Anna questa idea di un mondo senza grandi è stata portata alle estreme conseguenze. Questa adolescenza libera, però, non è spensierata perché la consapevolezza della morte è in agguato. Tutti sanno che è questione di pochi anni prima di essere colpiti dalla malattia. Riuscire a mantenere la calma e la lucidità è difficile. Anna, ad esempio, non riesce a dormire se prima non si ubriaca, gli altri bambini intorno a lei, sprovvisti di regole, si organizzano in bande armate, lasciano scatenare una violenza primordiale che ha in sé la ferocia del gioco.
C’è sempre la speranza, però, di fronte alla catastrofe. Anna non si arrende mai, cerca sempre un modo per un ritorno alla normalità che vada oltre le suggestioni più basse e magiche (il mito della Picciridduna, strega adulta sopravvissuta al moro e capace di curare chiunque) che alimentano gli altri bambini in un mondo privato tra le altre cose di qualsiasi divinità per aderire invece a una vocazione razionale di ricerca, ancorata a quell’ultima traccia del mondo dei grandi che le è rimasta: il libro di suggerimenti lasciato dalla madre prima di morire. Lì c’è scritto tutto.
Anna è un romanzo di ottimismo senza speranza, di paure e fragilità. Si può prestare a vari livelli di letture simboliche, con il morbo che uccide con l’arrivo dell’adulta che può rappresentare la fine dell’innocenza e cose simili; l’anarchia e lo spaesamento dei bambini senza genitori si può leggere come il pericolo di un mondo senza guide, ma non è necessario stare a cercare significati per apprezzarlo. Il problema che si incontra leggendolo è con il genere in cui Ammaniti si inserisce più che con la qualità in sé di Anna. Il survival post-apocalittico ha precedenti letterari evidenti e importanti, su tutti La strada di Cormac McCarthy e, pur in un genere diverso, Il signore delle mosche di William Golding, ma è soprattutto con l’abuso che se ne sta facendo in televisione e al cinema negli ultimi anni che il romanzo sembra guardare. L’interesse per le forme più popolari dell’intrattenimento di Ammaniti non è un mistero che lo scrittore ha mai voluto nascondere, anzi anche Anna lega alcuni suoi passaggi chiave a canzoni della musica leggere italiana e a film di largo consumo. Sembra evidente che il riferimento visivo che Ammaniti ha avuto in mente nella stesura di Anna sia stato The Walking Dead, sia come serie tv che come graphic novel. All’interno del genere, Anna non offre molto di nuovo, a parte lo spunto iniziale del mondo fatto di bambini. Ci sono situazioni classiche di questi on the road di sopravvivenza, con bande inquietanti, paura, la fame e illusioni di salvezza in posti da raggiungere, che si susseguono senza una precisa coerenza narrativa, senza uno sviluppo costante. Sembra quasi che Anna avrebbe potuto essere montato, per rimanere in ambito cinematografico, in un altro ordine e poco sarebbe cambiato.
La differenza nel mucchio la fa lo stile di Ammaniti, la sua scrittura come sempre inclinata a una velocità, a una fluidità che riescono sempre a renderla avvincente, con un carico di ironia che, pur essendo molto più sottotraccia rispetto ad altri momenti, riesce comunque ad affiorare. L’interesse consolidato per il mondo adolescente si traduce in una padronanza praticamente assoluta delle dinamiche psicologiche della crescita e delle sue incertezze. Questa è la vera forza della scrittura di Ammaniti, e con Anna lo conferma ancora una volta.
(Anna, di Niccolò Ammaniti, Einaudi, 2015, pp. 274, euro 19)
LA CRITICA
Una Sicilia selvaggia, senza adulti e in mano ai bambini. Ammaniti sfoga tutto il suo interesse per il mondo degli adolescenti in un survival post-apocalittico di disperato ottimismo che lascia il segno per la costruzione psicologica dei protagonisti.
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