“Steve Jobs” di Danny Boyle
Ritratto d’autore di uno dei grandi innovatori del presente
di Luca Silvestri / 29 gennaio 2016
Dopo un poco riuscito tentativo nel 2013, per mano di Joshua Michael Stern e volto di Ashton Kutcher, Hollywood tenta di nuovo di dipingere sul grande schermo il ritratto di una delle menti più geniali del nostro secolo, un uomo che ha nel bene o nel male cambiato il nostro modo di vivere e ha segnato un’epoca: Danny Boyle e Aaron Sorkin ci presentano il loro Steve Jobs.
É il 24 Gennaio 1984 e, annunciata dal famoso spot diretto da Ridley Scott, sta per essere presentata al pubblico l’ultima novità della Apple: il Macintosh, il computer che promette di rivoluzionare il mondo e il modo in cui lo viviamo. Dietro le quinte Steve Jobs, accompagnato dalla fedele direttrice marketing Joanna Hoffman, è alle prese con i preparativi tra problemi tecnici e non solo: da una parte il programmatore Andy Hertzfeld non riesce a far dire «Ciao» alla nuova creazione di Jobs, in camerino, intanto, la sua ex ragazza è decisa a discutere della paternità di sua figlia mentre appena fuori il suo vecchio amico Steve Wozniak è pronto a combattere per far avere il giusto riconoscimento ai suoi colleghi di Apple II, un altro computer di casa Apple; insomma niente sembra andare come deve per Jobs e mancano solo pochi minuti all’inizio della presentazione.
Riproponendo questa semplice struttura narrativa in tre atti rappresentati da tre importanti lanci di prodotti (1984: Macintosh; 1988: NeXT; 1998; iMacintosh) il film descrive carattere, relazioni e idee del genio di Cupertino. Steve Jobs è un film che vive in tutto e per tutto della sua sceneggiatura. C’è più Sorkin che Boyle in questo film in cui tutto – emozioni, personaggi, introspezione, narrazione e coinvolgimento – avvengono esclusivamente tramite i dialoghi. Non c’è una trama o una storia vera e propria dietro al film ma piuttosto un’idea o per meglio dire un personaggio e la sua idea, che ci viene raccontato attraverso il tempo, con l’intelligente escamotage delle presentazioni dei prodotti, dai suoi rapporti, dai suoi dialoghi, dai suoi gesti e comportamenti e da come tutto questo si evolve e modifica nell’arco temporale attraversato. Un modo geniale di raccontare un personaggio già appartenente alla storia pur essendo così vicino a noi, perché evita il facile errore di cadere nell’omaggio o nel banale racconto della sua vita passo dopo passo ma riesce comunque (e anche molto bene) a farci entrare nella testa di Steve Jobs, a farcelo conoscere in prima persona causando nello spettatore reazioni non sempre positive nei confronti del genio di Cupertino, ma piuttosto permettendo a tutti di farsi un’idea personale sull’uomo e non solo sulle sue idee. Una conferma importante per Aaron Sorkin che, dopo la già ottima prova in The Social Network, si dimostra lo sceneggiatore migliore per raccontare le menti tecnologiche che hanno contraddistinto la nostra contemporaneità (perché non sia arrivata una nuova nomination agli Oscar rimane un mistero).
A Danny Boyle non resta che orchestrare l’opera in silenzio, lasciando spazio a Sorkin e alla sua scrittura, lasciando il campo ai tanti dialoghi piuttosto che alla macchina da presa, senza però abbandonare un punto di vista registico che sa sottolineare la sua presenza anche in maniera marcata ed evidente (a tratti anche troppo).
Ad aiutare regista e sceneggiatore nel loro compito troviamo poi un cast stellare, composto interamente da attori di primo livello che non deludono regalandoci dei personaggi con cui non è difficile entrare da subito in empatia e che hanno portato le uniche due nomination agli Oscar del film. Michael Fassbender (candidato come protagonista), nonostante la non evidente somiglianza fisica, si cala perfettamente nel personaggio tratteggiandolo con gestualità ed espressioni e regalandoci una figura difficile ma al tempo stesso affascinante, un compito non semplice ma che non dubitavamo un interprete del calibro di Fassbender avrebbe portato a temine con successo.
Accanto a lui ruotano con maestria la sempre presente e pronta Joanna Hoffman di Kate Winslet, profonda e introspettiva nella sua semplicità da guadagnarsi la candidatura all’Oscar come miglior attrice non protagonista (e dopo il Golden Globe dovrebbe essere la grande favorita per la statuetta), e un Seth Rogen ripulito dell’immagine comica di se stesso e in grado di trasportare sullo schermo un personaggio molto più complesso e fondamentale di quello che possa sembrare.
Un buon film dunque che paradossalmente può trovare il suo punto debole proprio nella sua caratteristica più riuscita. Il suo essere basato interamente su dialoghi potrebbe rendere la visione difficile per qualcuno non avvezzo; quella che ne esce è infatti un’esperienza quasi teatrale che potrebbe aggravarsi a causa della forse un poco eccessiva durata e rendere il film lento agli occhi di un pubblico meno preparato, un neo non da poco che rende l’opera un bel film ma non un capolavoro.
(Steve Jobs, di Danny Boyle, 2015, biografico, 122’)
LA CRITICA
Un film potente ma a tratti eccessivamente lento, basato purtroppo o per fortuna interamente sui suoi dialoghi e arricchito da interpretazioni da Oscar.
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