“È così che si uccide”
di Mirko Zilahy
Un thriller convenzionale ambientato in una Roma non convenzionale
di Giulia Usai / 18 febbraio 2016
Il problema dei thriller è che è si tratta di nebulose a sé stanti nel panorama letterario, e, per quanto riconosca la bravura sintattica di Mirko Zilahy, per quanto apprezzi le intuizioni brillanti e macchinose che stanno dietro al disvelamento dell’omicida seriale di turno, per quanto la lettura sia scorrevole e mantenga alta la suspense, è il genere che non riesco proprio a farmi piacere. La seguente analisi, perciò, tenterà di mantenersi il più possibile obiettiva e di domare lo scarso entusiasmo per uno stile narrativo per il quale non ho mai tremato d’ardore.
In È così che si uccide (Longanesi, 2016), lo schema attorno al quale si avviluppa l’intreccio è abbastanza classico: c’è un ispettore incaricato di risolvere le indagini con una vita privata tormentata, che si strugge di malinconia per la morte recente della moglie Marisa, c’è un assassino con un passato di sofferenza che ci rende le sue efferatezze un po’ meno disumane, ci sono le atmosfere fumose e degradate della periferia metropolitana, e c’è anche una buona dose di sadismo. Tutti elementi imprescindibili per la messa in scena di un romanzo poliziesco che si rispetti.
Però l’impressione è che ognuno dei personaggi sia la rappresentazione stereotipata e un po’ esasperata di quello che ci si aspetterebbe da lui o da lei in quanto protagonisti di un testo hard boiled. Le ossessioni, i tic e i vizi assegnati alle personalità presenti fra le pagine si rivelano facilmente prevedibili, rendendo poco interessante l’approfondimento psicologico che l’autore non trascura per nessuna di loro. Così risulta anche per l’assassino, che per quanto inquietante, disturbato e spietato, alla fine suscita pure un pizzico di empatia.
Piuttosto, la vera intuizione di questo lavoro sta nel raccontare Roma come pochi hanno fatto, ambientando l’azione nei sobborghi popolari, nelle aree lontane dalle attrazioni turistiche, all’ombra di quei monumenti che nella nota finale al romanzo Zilahy definisce «scheletri meccanici». Perché tra l’Ostiense, l’ex mattatoio di Testaccio e il polo del Porto Fluviale esiste una Roma parallela e ignorata dai flussi turistici, che ogni giorno sputa e bestemmia tra il grigio dei palazzoni trascurati – eredità di progetti di sviluppo industriale ormai accantonati – ignorata dalla sua gemella bella ed eterna che ancora vive di rendita per il suo passato glorioso.
E insomma, se vi piace il genere, non pensate di leggere È così che si uccide per scoprire la nuova opera rivelatrice del noir italiano contemporaneo, ma piuttosto per constatare il buon uso di una prassi narrativa consolidata. Se non vi piace il genere, leggetelo per immergervi nella Roma delle borgate. E se vi piace il genere e anche Roma nell’inedita veste di metropoli periferica, leggetelo per entrambe le suddette ragioni.
(Mirko Zilahy, È così che si uccide, Longanesi, 2016, pp. 410, euro 16,40)
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LA CRITICA
Ottimo uso della lingua italiana per raccontare una vicenda che di avveniristico ha ben poco, se non l’ambientazione. La periferia dell’Urbe distorce le convenzioni di un romanzo altrimenti molto anglosassone.
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