“Tommaso” di Kim Rossi Stuart
A dieci anni dall’esordio, Kim Rossi Stuart perde la strada
di Francesco Vannutelli / 13 settembre 2016
A dieci anni di distanza dal molto più che convincente esordio alla regia con Anche libero va bene, Kim Rossi Stuart, uno dei migliori attori del cinema italiano di oggi, ha presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia Tommaso, la sua opera seconda seguito ideale del primo film con al centro lo stesso protagonista, Tommaso Bennati, e di nuovo l’abbandono come tema principale.
Certo, Tommaso è molto cresciuto rispetto al primo film. Lì aveva undici anni, qui ne ha quaranta e il volto e il corpo di Rossi Stuart che nel primo film gli era padre, ma il personaggio è lo stesso.
Dopo le continue fughe della madre che ne avevano segnato l’adolescenza, Tommaso è diventato un uomo incapace di gestire una relazione sentimentale. È fidanzato da anni con Chiara ma da tempo non la sopporta più. Passa le giornate a fantasticare su altre donne viste per strada o in farmacia, senza il coraggio di porre fine alla sua storia per affrontare la libertà. Quando è Chiara a lasciarlo, Tommaso si trova proiettato in un baratro di solitudine, incapace di sfruttare quella libertà tanto desiderata. Si mette insieme a Federica, e presto ricade nelle stesse dinamiche del rapporto con Chiara. Intanto sogna di esordire come regista e si interroga sulla sua carriera da attore, da troppo tempo ferma.
Se con Anche libero va bene Rossi Stuart si era rivelato come una (forse) inaspettata voce nuova per il cinema italiano, capace di guardare con delicatezza all’infanzia, alle dinamiche familiari e anche al mondo dello spettacolo, con Tommaso l’ex ragazzo dal kimono d’oro fa un passo indietro che ha dell’incredibile. Il tentativo, piuttosto evidente a chiunque, è quello di rifare il Nanni Moretti degli anni Ottanta, quello di Sogni d’oro e di Bianca, quello delle ossessioni cinematografare e del pensiero femminile. Non è solo un punto di riferimento stilistico, o tematico. Kim Rossi Stuart finisce per imitare Moretti, o meglio Michele Apicella, anche sul piano estetico, nei capelli, nella barba, nell’abbigliamento. C’è un’unica differenza, fondamentale. Moretti è Michele Apicella al netto delle esasperazioni narrative, Kim Rossi Stuart non è Apicella, né tantomeno Moretti.
La maschera Apicella è sempre stata credibile per l’umorismo drammatico che il personaggio di Moretti portava dentro di sé. È come per i personaggi di Woody Allen: li vedi e riconosci tutto un mondo di tic e nevrosi. Tutto quello che non è Kim Rossi Stuart.
Nello sforzo di replicare un modello troppo distante, Tommaso finisce per vagare a vuoto come il suo protagonista alla ricerca di un’identità, di un linguaggio in cui riconoscersi. Dieci anni dopo, tutta l’originale potenza della voce che Rossi Stuart era riuscito a trovare per parlare di Anche libero va bene si è persa in derive oniriche, in pianti davanti all’analista, lungo il crinale incerto che separa la commedia dall’introspezione.
Con solo cinque film all’attivo (come attore) negli ultimi dieci anni, e una serie di incidenti e vicende personali che sono arrivate anche alla cronaca , Kim Rossi Stuart ha sbagliato mira per il suo ritorno da protagonista assoluto (è anche sceneggiatore, di nuovo con Federico Starnone). È un peccato che quello che è uno dei migliori attori in circolazione lavori così poco. E così male.
(Tommaso, di Kim Rossi Stuart, 2016, commedia, 97’)
LA CRITICA
Kim Rossi Stuart torna alla regia dieci anni dopo l’ottimo esordio con Anche libero va bene. Il registro è diverso, nel segno di un Nanni Moretti modello irraggiungibile, e il risultato è poco più di un’imitazione senza nessuna reale possibilità.
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