“La terra dei figli” di Gipi
Una terra desolata di sopravvissuti
di Chiara Gulino / 15 maggio 2017
Dopo il meritato successo del precedente Unastoria, candidato al Premio Strega 2014 e i precedenti graphic novel dal taglio autobiografico e intimistico, scopriamo con La terra dei figli (Coconino Press/Fandango, 2016) un Gipi, alias Gian Alfonso Pacinotti, inedito e inaspettato.
Una nebbia, una foschia riempie di mistero questo volume e ci obbliga a osservare con attenzione le scene per entrarci dentro, per carpire quello che a un primo sguardo non si afferra, non è immediatamente visibile.
L’autore sembra andare a caccia di epifanie, di inciampi, di momenti insoliti che raddensano la vita intorbidendola, di faglie che aprono squarci nel tempo, inaspettati, di tunnel senza un lampo di luce all’orizzonte ma pieno di ombre sguscianti, e tutte diverse.
La terra dei figli si presenta come un racconto lineare nel suo sviluppo, ma incredibilmente profondo grazie ai diversi piani di significato che presenta.
La storia è ambientata in un futuro distopico in cui un evento catastrofico ha completamente cancellato dal mondo i segni della civiltà, lasciando che la razza umana regredisse a uno stato primitivo. Si tratta di un mondo incolore, in bianco e nero, privo di sfumature e sentimenti che possano dirsi umani.
Non ci sono espliciti riferimenti al mondo di ieri, nel senso che ognuno è strappato a sé stesso e ovunque si avverte il senso di un esilio assoluto, di una lacerazione irrimediabile, di uno spaesamento inguaribile.
La terra dei figli parla dunque dei sopravvissuti a una misteriosa fine del mondo che ha costretto un padre e due figli adolescenti a una vita anfibia. Tra l’acqua e le palafitte, i tre vivono in una cruda realtà post-industriale, dove il cibo scarseggia, i cani sono prede e il baratto è l’unico modo di procurarsi beni di prima necessità.
La fame e una natura estrema e spietata influiscono prepotentemente sulle relazioni umane, scatenando la violenza e brutalità primitiva umane, l’homo hominis lupus, una lotta per la sopravvivenza senza pari.
La barbarie dei tempi primordiali ha semplicemente cambiato tempo e faccia. Il mondo di Gipi assume sempre più l’aspetto di una caverna di spettri criminali nella quale non vi è posto né per la poesia né per l’amore né per la religione.
Oltre al Padre e ai due figli, mai nominati, la Terra è popolata da un gruppo di fanatici religiosi, i Fedeli, riuniti attorno alla figura dell’Uberprete, seguaci disposti a credere e obbedire senza alcuna spiegazione.
Siamo in un mondo dove i morti non vanno toccati, perché tossici, dove un padre cresce i suoi due figli in maniera dura e rigida, imponendogli una serie di parole proibite perché siano forti abbastanza per il mondo in cui dovranno vivere, dove le donne sono ridotte in schiavitù o considerate streghe, e dove la generazione più anziana ricorda il mondo in cui la vita era “normale” e le persone sapevano leggere senza però trasmetterlo alle nuove generazioni perché la conoscenza è potere e dunque è pericolosa.
I figli, intanto, vagano ciechi e ignoranti di quel che è successo, di cosa ha cambiato per sempre il loro mondo e di come fosse il mondo prima. Le tensioni distruttive dei figli con il Padre favoriscono una violenza irrazionale ma spesso intenzionale, che nullifica le conquiste umane e civili. Unico motore di un’azione e una trama minimaliste è il desiderio di conoscere il contenuto del diario tenuto dal Padre una volta morto.
L’elementarità dell’intreccio si traduce in un paesaggio semplificato come un puzzle per bambini, formato da pezzi a incastro dai contorni netti. Non ci sono immagini a tutta pagina, né colorazioni acquerellate, i dialoghi sono semplici e scarni al limite dell’afasia.
Con quest’ultimo graphic novel Gipi ha davvero stupito senza perdersi in esercizi di stile, rendendo così al meglio, con l’essenzialità del tratto, la possibile cruda realtà futura.
(Gipi, La terra dei figli, Coconino Press/Fandango, 2016, pp. 288, euro 19,50)
LA CRITICA
Dopo il successo di LMVDM – La mia vita disegnata male (Coconino Press, 2008), Gipi cadde in una tremenda crisi raccontata sulla rivista Lo Straniero, cui seguì la guarigione. È dunque da sopravvissuto che ha scritto La Terra dei figli, una terra desolata di sopravvissuti.
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