1993 e la necessità di raccontare il presente
di Francesco Vannutelli / 16 giugno 2017
Si è conclusa lo scorso 6 giugno 1993, la serie tv targata Sky Atlantic che prosegue nel racconto degli anni fondamentali della storia contemporanea italiana della fine dello scorso millennio.
Nata da un’idea di Stefano Accorsi messa su carta e schermo da Alessandro Fabbri, Federica Rampoldi e Stefano Sardo, la serie prodotta da Wildside riprende i personaggi della prima stagione, 1992, che nel 2015 era diventata una specie di oggetto di culto tra gli spettatori per i motivi sbagliati. Nonostante un ottimo cast e l’enorme campagna promozionale, dopo la buona accoglienza in anteprima al Festival di Berlino, la serie Sky aveva faticato a convincere il pubblico per una certa approssimazione nella sceneggiatura e nel racconto di alcuni passaggi della storia italiana. Sui social, l’onnipresente scritta “Da un’idea di Stefano Accorsi” era diventata in fretta sinonimo di pessima idea. La recitazione insopportabile di una delle protagoniste, Tea Falco, fatta di incomprensibili frasi sbiascicate, si esponeva ad attacchi e critiche continue che nessuno poteva difendere. Il rumore sui difetti, in pratica, aveva sovrastato le voci sui meriti.
Perché nel rispetto della tradizione dell’ottima produzione televisiva targata Sky, 1992 aveva proposto un modo molto interessante di raccontare l’anno da cui prende il titolo. Momento di passaggio fondamentale nella storia d’Italia, con l’avvio dell’indagine di Tangentopoli che segna la fine di un’epoca politica e l’inizio del biennio stagista della mafia siciliana, il 1992 riviveva sullo schermo con la contaminazione di personaggi reali – Bettino Craxi, Marcello Dell’Utri, Antonio Di Pietro, tra gli altri – e immaginari in un romanzo del reale capace di raccontare la contemporaneità italiana senza deformazioni politiche.
1993 riprende i personaggi lasciati in 1992 e ne aggiunge di nuovi, sia tra quelli di finzione che tra quelli reali. Stefano Accorsi torna nei panni del pubblicitario Leonardo Notte, costretto ancora a fare i conti con il suo passato mentre diventa l’ispiratore segreto della politica berlusconiana. C’è ancora Tea Falco, meno strascicata, e la famiglia Mainaghi, in equilibrio tra industria, mafia e sensi di colpa. C’è il poliziotto Luca Pastore interpretato da Domenico Diele, parte del pool di Mani Pulite e impegnato in un’indagine personale sulla malasanità. C’è il leghista Pietro Bosco, a cui Guido Caprino continua a dare alla grande corpo e voce, mentre si misura con la politica e i salotti romani, e c’è ancora Veronica Castello, la soubrette dall’ambizione smisurata che trova in Miriam Leone l’interprete perfetta.
Il racconto del 1993 passa per gli ultimi momenti di Mani pulite mentre si prepara il nuovo scenario politico del post DC e PCI. Silvio Berlusconi finalizza la sua discesa in campo mentre la Lega si istituzionalizza e la sinistra si reinventa. La Rai cerca di capire come lottizzarsi dopo il crollo dei grandi partiti e intanto la televisione commerciale si consolida sempre di più. Le bombe della mafia esplodono ancora e passano dai giudici a Maurizio Costanzo. Alla radio ci sono gli 883 e i Duran Duran alla prima resurrezione, mentre i nasi si tingono del bianco della cocaina e i corpi sieropositivi vengono circondati dall’alone viola della pubblicità.
1993 conferma tutte le buone premesse di 1992 e dimostra di aver imparato dagli errori. Per i personaggi esistenti si continua con l’intelligente scelta stilistica di proporli con un collegamento minimo con l’immagine reale. Si capisce che abbiamo davanti Di Pietro, o Bossi, senza però esagerare nella macchietta, nell’imitazione, nella caricatura. Sono delle interpretazioni teatrali che creano dei personaggi ibridi tra finzione e realismo. E in questo, il lavoro di Paolo Pierobon su Silvio Berlusconi dimostra tutta la validità della scelta.
I tre autori hanno capito cosa contenere, cosa tagliare e cosa migliorare. C’è meno spazio per l’interazione tra i vari protagonisti e maggiore libertà allo sviluppo personale. C’è meno esibizionismo di Accorsi, con la famigerata scritta ridimensionata e un minor sfoggio di muscoli e autocompiacimento. Ci sono due puntate in meno rispetto alla prima stagione, e di conseguenza una maggiore asciuttezza e meno spazio per i tempi morti.
Il risultato finale che offre 1993 porta la serie molti passi più avanti rispetto a dove l’avevamo lasciata nel 1992. L’operazione proseguirà nel 1994, ultimo anno di un triennio determinante per la storia contemporanea del nostro paese.
Con questa correzione di tono,a emergere di 1993 sono soprattutto per i meriti (e infatti se ne sta parlando molto meno di quanto si sia fatto con la prima stagione). La storia contemporanea italiana, quella di Tangentopoli, della nascita del berlusconismo, dei movimenti populisti, trova uno spazio limitato nella produzione televisiva e cinematografica. La comprensione del presente, però, può passare anche da una finzione che sappia distinguersi dalla agiografie targate Rai o dal carico politico del cinema d’autore (Il caimano di Moretti e Il divo di Sorrentino, in attesa di vedere il suo film su Berlusconi, Loro). Con tutti i limiti di veridicità e approfondimento che può avere un programma pensato per l’intrattenimento, 1993 riesce con semplicità a proporre comunque un quadro d’insieme dell’anno di cui tratta, ricordando vicende che troppo spesso vengono dimenticate o che non trovano spazio per approfondimenti nelle opere destinate al grande pubblico e offrendo delle chiavi di lettura per il presente semplici eppure efficaci. Senza voler esprimere giudizi politici, bastava guardare la descrizione di 1992 della Lega come forza destabilizzante gli equilibri politici consolidati per capire quanto poco di originale ci sia nella proposta politica del MoVimento 5 stelle. Così come 1993 ci fa ricordare cosa abbia voluto dire l’arrivo in politica di Berlusconi e la totale incapacità del sistema – zoppicante, compromesso da Mani Pulite, ma ancora vivo – di prevederne l’impatto. La storia e le storie insegnano sempre, basta saperle guardare.
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