Il poeta-pugile
Arthur Cravan visto da Edgardo Franzosini
di Giovanni Bitetto / 16 ottobre 2018
Per la prima volta in Italia arrivano, tramite uno smilzo volumetto Adelphi intitolato Grande trampoliere smarrito, i testi di Arthur Cravan: poeta, conferenziere, pugile, avventuriero di origine svizzera. Descrivere Cravan non è facile, l’attività letteraria è infatti solo una delle mille incarnazioni di questo uomo di nervi primonovecentesco, capace – grazie alla stazza imponente – di raggiungere buoni risultati nel pugilato e allo stesso tempo, ispirato dalla parentela con Oscar Wilde, redigere un giornale di cui era unico editore, direttore e redattore. La vita di Cravan si snoda fra Parigi, gli Stati Uniti, il Messico e poi il Sudamerica, terra in cui scompare misteriosamente all’età di trentun anni. Egli lascia dietro di sé una serie di testi istrionici, da poesie di ispirazione dadaista, a invettive contro l’attività poetica o pittorica. Edgardo Franzosini, da sempre attirato dalle vite fuori dal comune, ha introdotto Cravan in Italia, curando l’edizione Adelphi e riunendo le molteplici sfaccettature dell’uomo. Quella di Franzosini è una curatela che esibisce testi preziosi e gustosi, non solo la produzione poetica ma anche le lettere che Cravan mandava alle sue amanti. Ne è venuto fuori un racconto che somiglia ai romanzi di Franzosini, un dialogo fra due autori lontani nella storia ma vicini nella penetrazione fra arte e vita. Poiché si tratta della prima curatela di Franzosini, l’ho raggiunto via mail per chiedergli delucidazioni sul progetto.
La prima curiosità è d’obbligo: come hai incontrato Arthur Cravan? Cosa ti ha spinto verso di lui?
È successo in una libreria di Barcellona, diversi anni fa: venti forse anche di più. La libreria era La Central di calle Mallorca. Appeso a una parete c’era un grande manifesto, e credo che sia ancora lì, su cui erano raffigurati due pugili mentre combattono, corpo a corpo. Sotto c’erano i loro nomi: Jack Johnson e Arthur Cravan. Si erano incontrati e battuti, secondo quel che era scritto sul manifesto, il 23 aprile del 1914 nella Plaza de Toros Monumental di Barcellona. La boxe mi ha sempre interessato, ovvio quindi che conoscessi il nome di Johnson, uno dei più grandi campioni di questo sport. Cravan era invece, per me, un nome assolutamente sconosciuto. Mi sembrava piuttosto insolito anche il fatto di trovare le loro immagini, in mezzo agli scaffali zeppi di libri e accanto alle foto di Beckett, Borges e Thomas Mann. Quando chiesi la ragione di quella presenza, uno degli addetti della libreria mi spiegò che Arthur Cravan era stato non solo un pugile, ma anche un poeta. Due attività che sembrano in apparenza avere pochi punti in comune. In apparenza appunto, poiché, in fondo, coraggio, passione, resistenza, gusto della sfida, sono indispensabili per praticare sia l’una che l’altra. Poi, scoprii che aveva avuto uno zio illustre: Oscar Wilde; che nel 1912 aveva creato una rivista, Maintenant!, di cui era contemporaneamente editore, direttore, e, dietro un certo numero di pseudonimi, unico redattore e giornalista ̶ la vendeva per le strade di Parigi utilizzando un carretto da ortolano ̶ e che la sua morte era avvolta dal mistero. Scomparso mentre attraversava, in un giorno di tempesta il Golfo del Messico? Annegato nel Rio Grande? Ucciso dalla polizia di frontiera messicana? Assassinato in un dancing, o forse all’interno di una palestra, con un colpo di pugnale al cuore? Non ci voleva altro per accendere la mia curiosità e per far sì che mi appassionassi al personaggio. Quando lessi i cinque numeri, tanti ne uscirono, della sua rivista, e che costituiscono quasi l’intero corpo della sua produzione letteraria, mi trovai di fronte,comunque, a un poeta di primissimo piano. Un dadaista con qualche anno di anticipo su Tristan Tzara e compagnia; ammirato, non per nulla, tra i tanti, da Breton, Cendrars, Sollers e Guy Debord.
Nel tuo lavoro di scrittore la documentazione è un momento fondamentale. Quando scrivi narrativa le fonti sono, però, occultate. In questo caso le hai dovute esibire. Come hai inteso la curatela?
Sì, a differenza di ciò che ho fatto altre volte, ma non sempre, nel racconto biografico che ho aggiunto alla scelta di poesie, prose e lettere di Cravan, ho indicato con precisione le fonti. Anche perché in questo caso non ho immaginato né inventato quasi niente, e nell’unica volta che mi è accaduto di farlo, l’ho ammesso. Non ho mescolato verità e finzione, non ho sfidato il lettore a scoprire quali fatti, quali parole, appartengono all’una e all’altra. Non ho mentito, non ho mistificato. Non ho, come si dice, “aumentato” la realtà. Le vicende del pugile poeta erano, del resto, già di per sé talmente estreme, esagerate, formidabili, che non ce n’era bisogno.
Grande trampoliere smarrito è un verso di una poesia di Cravan: pensi che sintetizzi la sua figura?
Credo di sì. Sebbene Cravan ritenesse di essere in consonanza e di avere profondi legami anche con altri animali, meno docili e delicati, come elefanti e cavalli. E sebbene, soprattutto, proclamasse di sentirsi indistintamente «flora e fauna…tutte le cose, tutti gli uomini, tutti gli animali».
Da curatore, a quale dei testi scelti ti senti più vicino?
Penso soprattutto alle lettere, che sono per lo più lettere d’amore e che Arthur spediva contemporaneamente a tre donne diverse. Lui la chiamava la sua «funesta pluralità», ma non ne poteva fare a meno. Sono molto belle a mio parere, e ci fanno scoprire al di là del personaggio, eccessivo, scandaloso e sopra le righe, il carattere più vero, la natura più intima del “poeta dal pugno pesante”, e la sua vita, finalmente, si rivela per quel che è stata: tragica, lirica e anche, direi, come capita per tutte le esistenze che mi affascinano, non priva di comicità.
(Arthur Cravan, Grande trampoliere smarrito, trad. di M. Balmelli e N. Nuschitello, a cura di E. Franzosini, Adelphi, 2018, pp. 196, euro 13)
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