Alla ricerca dei non-luoghi dell’esistenza

“Dissipazioni” di Giuseppe Marcenaro

di / 23 novembre 2018

A Londra, nel chiostro dell’abbazia di Westminster, si trova questa antica iscrizione: “Noto a tanti / ma conosciuto da pochi / né erudito né incolto / trascorse la vita dedicandosi alle lettere / ma da uomo che non dà importanza al denaro / si adattò alla vita / e amò il proprio lavoro”; riproposta con civettuola umiltà da Giuseppe Marcenaro nell’exit del suo Dissipazioni (il Saggiatore, 2018), è la chiosa perfetta per rendere l’intelligente sberleffo e il disincantato sguardo dal ponte di uno degli intellettuali contemporanei più brillanti che l’Italia possa vantare. Giornalista, saggista, poeta, biografo, critico fotografico, con la ricercata spontaneità dell’ironia, Marcenaro in questo suo saggio – sorta di caleidoscopico Wunderkammer letterario – ammette candidamente di avere «sempre davanti l’inestricabile enigma: se io sia persona o personaggio. Lettore o maniaco accumulatore di carta stampata. Bibliofilo o collezionista. Bibliotecario di un me stesso sconosciuto».

Di fatto, nei tre capitoli – Carte, Memorie e Corpi – delle cinquecentosettantaquattro intense pagine che lo compongono, Dissipazioni non prevede risposta alla domanda del suo autore né smentisce la vaporosa evanescenza del titolo, anzi in un susseguirsi alternato di ricordi di incontri con scrittori, corrispondenze epistolari, lacerti di libri, appunti perduti e ritrovati, collezioni nascoste in labirintiche biblioteche ed edizioni clandestine, si offre come un fantasmagorico teatro delle ombre attraverso le quali, in filigrana, dietro ciò che non si vede o non si trova più, riuscire a riscoprire e rivitalizzare da un punto di vista inedito gran parte dei protagonisti della cultura letteraria (e non solo) tra Ottocento e Novecento: Pontiggia, Majakovskij, Montale, Gobetti, Marx, Luzi, Engels, Gadda, Poe, Campana, Vittorini, Brecht, solo per citare velocemente alcuni tra i tanti posti al vaglio della sua penna dalla cantabile facilità.

Una vasta collezione, dunque, omaggio e monumento insieme a quel quid inespresso che si cela tra le pagine dei libri, al di là delle convenzionali biografie degli autori; oltre il già noto dell’erudizione ufficiale, spinta dall’ambiziosa intenzione – solo in parte riuscita, data la complessità del tema e la vastità del campo preso in esame – di disvelarsi come una sorta di Recherche non solo delle lettere ma del significato della vita stessa, lotta impari contro la vanitas vanitatum che il suo autore sa già perduta in partenza, ma alla quale tuttavia non può e non vuole rinunciare, convinto com’è che il mondo non sia dei viventi ma delle ombre, le sole capaci di resuscitare magicamente città e giardini da una tazza di tè.

Ecco allora Marcenaro spingersi a tessere l’ordito di questa libera, anarchica quanto singolare trama dei frammenti fin dentro ai cimiteri dove, tra rumorosi silenzi, le ceneri e le ossa dei grandi che furono ci ricordano malinconicamente gli imprevedibili giri della storia e i suoi eterni corsi e ricorsi, per cui oggi, se pure il grande scrittore del Realismo socialista Maksim Gor’kij giace ancora inumato nel mausoleo della piazza Rossa, la celebre arteria moscovita che portava il suo nome è tornata a chiamarsi via Tverskaja, così come, per beffarda ironia, le varie parti anatomiche che compongono le spoglie mortali del grande Napoleone, che unificò l’Europa, si rimpallano a più riprese tra collezioni private ed aste, disseminate per i meandri del mondo, un pezzo qui un pezzo là, bizzarramente catalogate come objet d’art.

Contemporaneamente, il gioco dello scavo tra brandelli di vite estinte spesso ci restituisce inaspettati cadeaux, come la passione letteraria di uno dei maggiori poeti della beat generation, Gregory Corso, germinata imprevedibilmente da distratte letture delle poesie di Shelley, tra l’entrata e l’uscita dai numerosi riformatori della sua gioventù, per non parlare della tomba di E.A. Poe a Baltimora dove, dal 19 gennaio 1949 – centenario della sua morte – ogni anno una mano misteriosa lascia cadere sulla sua lapide tre rose rosse e una mezza bottiglia di cognac francese. Omaggio di uno stravagante cultore del divino Edgar, accanito gesto di un curioso narcisista o piuttosto manovra pubblicitaria per rinverdire la leggenda dell’americano maledetto?

Sicuramente invito ad accettare qualcosa di irragionevolmente certo, sostiene Marcenaro; ciò che è secondario e segreto eppure ci spinge a ricostruzioni e divagazioni voyeuristiche, combattendo per non cadere nelle tenebre della dimenticanza perché «siamo pieni di morti, dentro»; quelle presenze perennemente ritrovate al fondo di un cassetto, i testamenti perduti, le scartoffie disperse, le eredità che tentano di riunire ciò che la morte ha separato. Dissipate dissertazioni, le sue, proprie di un flâneur fintamente distaccato eppure capace di leggere, nel non-luogo di ciò che non esiste più, l’inesorabile giro che governa l’ingranaggio della vita e della morte.

 

(Giuseppe Marcenaro, Dissipazioni, il Saggiatore, 2018, pp. 574, € 32.00)
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LA CRITICA

Colta, ironica, poliedrica, una Wunderkammer in libertà di frammenti letterari, ricordi e testimonianze della cultura tra Ottocento e Novecento, il cui unico fil rouge è la volontà di resuscitare il tempo perduto.

VOTO

8/10

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