Per volare ci vuole ben altro
Sul deludente “Dumbo” di Tim Burton
di Francesco Vannutelli / 1 aprile 2019
La nuova onda di rifacimenti degli storici cartoni animati in live action colpisce questa volta Dumbo, il quarto classico nella storia della casa di animazione di Walt Disney. La nascita del primo Dumbo non era stata semplice. Prodotto in fretta e furia, nel 1941 per cercare di assorbire le perdite economiche dell’esperimento Fantasia, il film sull’elefantino volante passò per le mani di sette diversi registi. Ci fu una lunga discussione tra Walt Disney e la RKO, incaricata delle distribuzione, sulla durata ibrida del film: 64 minuti, non un lungometraggio, non un corto. La RKO consigliava di allungare, o accorciare, per rientrare in una delle due categorie, ma Disney si rifiutò. Alla fine, Dumbo incassò solo 1 milione e mezzo di dollari negli Stati Uniti a fronte di costi di produzione che arrivarono fino al milione. Fu necessario aspettare la fine della seconda guerra mondiale e una nuova presentazione a Cannes nel 1947 per far conoscere il film in tutto il mondo e avviarlo sulla strada della gloria.
Per questa nuova versione la Disney ha chiamato Tim Burton, regista dalla visionarietà ultra celebrata e storico collaboratore della major, ormai alla quarta regia. Il copione, affidato a Ehren Kruger (sceneggiatore del contestato Ghost in the Shell), reimposta il punto di vista del film dando largo spazio agli umani, assenti nella versione a cartoni animati. Siamo nel 1919, subito dopo la prima guerra mondiale. Il veterano Holt Farrier fa ritorno negli Stati Uniti senza un braccio e senza più una moglie, morta di influenza mentre lui era in Europa. Ritrova i suoi due figli e il circo Medici, per cui lavorava come ammaestratore di cavalli, ormai in rovina. La fortuna inattesa si presenta in forma di un cucciolo di elefante con le orecchie enormi. Sembra uno scherzo della natura, che inciampa a ogni passo, ma quando si scopre che è in grado di volare diventa l’attrazione principale del circo.
È sempre difficile confrontarsi con i classici, soprattutto quando non è possibile riproporli come il pubblico li ricorda e li ha amati. Come già era successo per Alice in Wonderland, Burton rivisita il materiale originale. Qui la scelta è quella di dare maggiore spazio agli uomini e lasciare gli animali a un ruolo secondario. Eliminata ogni forma di antropomorfismo, Dumbo e le altre creature del circo non parlano, comunicano con gli occhi e con i loro versi. Via Timoteo, l’amico topo mentore di Dumbo, via i corvi neri che donano la piuma magica. Spazio a tanti nuovi personaggi e a una nuova impostazione.
Questo Dumbo 2019 è un film per famiglie confezionato senza impegnarsi ad andare oltre la soglia del necessario. Siamo di fronte a un prodotto senza guizzi, realizzato con il solo scopo di riempire le sale in attesa del prossimo, ennesimo, rifacimento live action (a maggio arriva Aladdin, ad agosto Il re leone). Tim Burton si limita al minimo indispensabile per onorare il contratto, così come il suo cast, che, pur mettendo insieme una serie di nomi interessanti come Colin Farrell, Eva Green e la coppia Michael Keaton – Danny De Vito, di nuovo con Burton ventisette anni dopo Batman – Il ritorno, si accomoda sul compitino.
Il copione crea giusto le basi minime per una nuova storia di contorno alle avventure dell’elefantino. I personaggi sono appena accennati e ogni sviluppo della trama è un semplice pretesto per andare avanti un altro po’. Anche gli eventuali scopi educativi dei vari inviti ad andare oltre le apparenze, a credere nei propri sogni, sembrano messi lì senza convinzione.
Si salva solo il piccolo Dumbo, straordinaria creatura in animazione computerizzata, con occhi vivi e dolci che catturano tutte le attenzioni del pubblico.
(Dumbo, di Tim Burton, 2019, fantastico, 112’)
LA CRITICA
Tim Burton si limita a fare quello che gli chiede la Disney senza provare a dare un tocco in più al suo Dumbo. Un buon film per famiglie, ma nulla di più.
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