Le domande della malattia
“Fratelli” di Carmelo Samonà
di Federico Musardo / 8 aprile 2019
«Vivo, ormai sono anni, in un vecchio appartamento nel cuore della città, con un fratello ammalato. Nessun altro abita con noi, e le visite si fanno rare. Ultimi rimasti di una famiglia che fu numerosa al tempo della mia giovinezza, ci muoviamo, ora, in una complicata gerarchia di silenzi».
Ormai più di quarant’anni fa, uno degli ispanisti più lucidi del secolo scorso, a cinquantuno anni, si converte alla narrativa e pubblica, anche grazie al sostegno di una piccola cerchia di affetti (tra cui soprattutto Natalia Ginzburg), un brevissimo romanzo: Fratelli (Einaudi, 1978; Sellerio, 2008). Oggi, purtroppo, questa storia non si conosce abbastanza e quello di Samonà è un nome sostanzialmente dimenticato.
Il primo dei suoi tre romanzi, a cui seguiranno poche altre prose, è molto breve e conta appena un centinaio di pagine. Se l’interesse fosse banalmente contenutistico, si potrebbe presentare questo libro in una frase: Fratelli racconta la vita quotidiana di un uomo e di suo fratello, malato di mente. Non è così. Per capire la qualità di questo romanzo, non è possibile accontentarsi della sua quarta di copertina.
Vale la pena riscoprirlo, perché le sue ambiguità strutturali, la grande cura stilistica, l’uso così calibrato del punto e virgola, il punto di vista inedito del narratore su un tema difficile come la malattia mentale, la riflessione sulla natura conoscitiva della letteratura e molto altro consentono senza problemi di annoverarlo tra i grandi romanzi degli ultimi quarant’anni, forse perfino del secondo Novecento. O ancora: l’assenza di una soggettività salda e strutturata, l’importanza del corpo come linguaggio, la serialità rituale delle azioni, la loro rarefazione, il disorientamento temporale che permea dall’inizio tutta la narrazione, la fallacia della memoria dell’io narrante e la precarietà dei suoi ricordi.
Sono legittimi alcuni dubbi sulla reciprocità della ricerca dei protagonisti e più generalmente sul loro rapporto. Il lettore conosce il fratello solamente dal punto di vista di un narratore che usa la parola e attraverso essa commenta i luoghi in cui la lingua non arriva (i silenzi, il corpo e quindi i movimenti, le azioni). La malattia, secondo Samonà stesso un «oggetto invisibile», traccia una linea di confine che il narratore, appurato il fallimento della lingua, difficilmente sa varcare. Nonostante ciò che hanno scritto alcuni commentatori, il tema del romanzo non è il doppio, perché senza il personaggio del fratello malato va da sé che tutta questa storia non avrebbe senso.
Fratelli sarebbe un monologo dell’io e non un incontro con l’alterità. Volponi, Malerba e Sanguineti si erano serviti di strategie narrative e artifici retorici per fingere che a parlare fosse la follia; Samonà, al contrario, sceglie di raccontare la sua storia dalla prospettiva razionale di un narratore che si crede sano e rifiuta di indovinare cosa prova chi soffre di un disturbo psichico. Ecco lo scarto fondamentale che compie rispetto alla narrativa italiana che lo precede: la malattia mentale, la follia, non comunicano più attraverso un linguaggio fintamente folle, o malato, inventato di sana pianta da uno scrittore che si diverte a immaginarsi un po’ pazzo. Scrivendo Fratelli, Samonà offre un’alternativa più rispettosa a chi vuole una trasfigurazione letteraria del rapporto tra la sanità e la malattia senza cedere alla tentazione in cui cadono coloro che, strumentando questa dialettica, creano artificiosamente un linguaggio visionario e allucinato, sperimentale da un punto di vista stilistico e lessicale, per raccontare il mondo dei sani.
Samonà non vuole lavorare a un’immagine della malattia. La grande originalità del suo romanzo dipende soprattutto da questo radicale cambio di paradigma conoscitivo. Fratelli è la storia di un rapporto umano, di coppia. Questa prospettiva inedita per raccontare la malattia è solamente una delle ragioni per riscoprirlo: un altro discorso meriterebbe il tema dell’alterità, perché pochi scrittori prima di Samonà hanno saputo interrogare il lettore così a fondo sull’importanza dell’altro per l’esistenza del sé.
Perché leggere Fratelli oggi? Una domanda che ha più risposte. Una tra le tante possibili è dello stesso Samonà, intervistato da Sira Testi a pochi mesi di distanza dalla pubblicazione del romanzo:
«Dal suo libro – domanda la Testi – mi pare emerga un grande insegnamento; l’amore è ancora lo strumento necessario ad appianare le difficoltà apparentemente insanabili che tormentano la vita e le relazioni dell’uomo moderno. Le sembra giusta questa chiave di lettura?»
«Sì, se per amore intende la tensione misteriosa e la volontà di conoscenza che ci spinge verso gli altri, e non dà alla parola – che è vecchia quanto il mondo ed è piena di significati diversi – un’accezione patetica o solo genericamente affettiva. Ma mi domando: è così importante il parere dell’autore in casi come questi? Io credo che siano i lettori, a cominciare da lei stessa, che danno autorità e consistenza a una chiave interpretativa. Il resto lo dirà, ovviamente, il tempo».
Quarant’anni sono sufficienti, non è ancora troppo tardi. Ora, come suggerisce lo scrittore, sta a noi la responsabilità di ricordarlo.
Quasi assente dalle librerie, ignorato da quasi tutti i manuali e dalle antologie, amato oggi da una piccola nicchia di intenditori, come potrebbe, Fratelli, ottenere il riconoscimento che gli spetterebbe? A un appassionato di Calvino o di Manganelli, di Del Giudice o di Lodoli, insomma dei narratori che nonostante il nuovo orizzonte esistenziale della letteratura seppero rinnovarsi, mantenendo allo stesso tempo una certa aderenza a una tradizione più umanistica secondo cui scrivere ha anche una valenza alta e conoscitiva, l’esordio narrativo di Samonà potrebbe senz’altro piacere. Conoscerlo significa anche porsi delle domande profonde sul presente e insieme rinunciare alla pretesa di trovarvi una risposta.
È possibile leggerlo interrogandosi sulle relazioni umane, sulla vita domestica di una malattia. rileggerlo ancora, più volte, per accorgersi che da questo esile libricino nascerà ogni volta un nuovo spunto di riflessione. Le qualità di questo romanzo naturalmente sussistono a prescindere dalla sua modernità. Siccome anche a distanza di anni sa ancora comunicare così tanto, non bisogna compiere l’errore di lasciarselo scappare.
(Carmelo Samonà, Fratelli, Einaudi, 1978; Sellerio 2008 | Recensione di Federico Musardo)
LA CRITICA
Samonà è un vero scrittore e il grande valore del suo romanzo d’esordio sta lì a testimoniarlo. Fratelli andrebbe riscoperto (anche) perché trattando temi come la malattia, l’alterità e l’identità ci pone domande fondamentali sul nostro mondo.
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