Torni ancora, Franco?
A proposito di "Torneremo ancora", ultimo brano di Franco Battiato
di Luigi Ippoliti / 24 ottobre 2019
Franco Battiato è, è stato e sarà il Maestro. Artista e pensatore geniale, costantemente mutevole, punto di riferimento per generazioni successive, da Morgan a Francesco Bianconi.
Sul finire di questo 2019, la notizia da parte del manager Cattini che “Torneremo ancora”, incluso nell’omonimo album che racchiude quattordici tra i brani più importanti suonati dalla Royal Philharmonic Concert Orchestra, sarebbe l’ultimo brano dell’artista siciliano; per quanto inevitabile, è un addio che il mondo della musica non avrebbe mai voluto sentire pronunciare. Battiato è un punto cardine della musica italiana, e non solo, e il suo saluto suona come una violenza tanto brutale quanto dolce. È da tempo, da quando cadendo dal palco di Bari nel 2015 Battiato si ruppe il femore, ma soprattutto quando nel 2017 se lo ruppe di nuovo nella sua casa a Milo, che si sa poco delle sue condizioni di salute. Si è detto un po’ di tutto, si è speculato, ma la notizia fondamentale è questa: oggi abbiamo la sua ultima composizione.
L’incredibile trasformazione estetica e di intenzioni avvenuta nel 1979 con l’uscita de L’era del cinghiale bianco è ancora oggi la più assurda sterzata che un musicista abbia compiuto nel panorama italiano. Fino a quel momento Battiato era un finissimo avanguardista conosciuto da poche migliaia di persone. Dal suo esordio acido con Fetus fino a L’Egitto prima delle sabbie (dove la title track vinse nel 19 il premio Stockhausen) a una svolta pop inaspettata: un processo che è culminato, dopo il meno efficace Patriots, con la definitiva trasformazione in pop star con il capolavoro La voce del padrone.
Di qualche anno più in là è il trittico mistico: Fisiognomica, Come un cammello in una grondaia e Caffè de la paix. Ecco, non è una bestemmia poter dire che “Torneremo ancora“, nella sconfinata produzione di Battiato, può essere inserita per canoni estetici e contenutistici in questo periodo.
Quest’ultimo brano di Battiato, che è un brano proprio a là Battiato, gioca sul rapporto tra voce, testo e orchestra come trent’anni fa faceva la “L’ombra della luce“. Molti sono gli aspetti che accomunano i due brani, a partire dai riferimenti alla filosofia buddista-tibetana della circolarità della vita, con il suo terminare solo nel momento in cui l’anima non sarà libera dalle emozioni – “L’animale”, quello che «mi rende schiavo delle mie emozioni».
Torneremo ancora duetta benissimo anche con “Sui giardini della preesistenza“, in giochi di ricami e di rimandi, o “Lode all’inviolato“(presente nella raccolta). La sapiente gestione di archi che vanno a mischiarsi con quella voce tanto terrena quanto incorporea, riesce a produrre quell’effetto fuori dal tempo proprio di Battiato.
Una delle tematiche, quella della circolarità della vita e dal fuggir dalle passioni, più ricercate e pensate da Battiato – che negli anni del trittico mistico culminarono nello splendido concerto di Baghdad del 1992 -, più complesse da metabolizzare per la cultura occidentale a cui si riferisce e di cui è parte, in “Torneremo ancora” riesce a trovare un suo luogo e un suo spazio per poter manifestarsi ancora al massimo. Erano anni che Battiato non risultava così fortemente ispirato: certi temi rimangono irrisolti, e non potrebbe essere altro, ma Battiato sembra aver trovato un ultimo perfetto istante in cui canalizzare le sue ambizioni.
«Finché non saremo liberi / torneremo ancora / ancora / e ancora» canta con una voce quasi spezzata che irradia una luce bellissima e triste, in un finale che non sarebbe potuto essere più preciso per Battiato: tanto spirituale quanto ironico.
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