Perché, Siberia?
"Tutti amiamo senza fine", l'ultimo lavoro della band toscana
di Luigi Ippoliti / 5 dicembre 2019
Oggi ricorre il trentacinquesimo anniversario di Siberia dei Diaframma, album capolavoro fondamentale per tutto il movimento new wave italiano. Non a caso, molto tempo dopo, quattro ventenni toscani escono allo scoperto con un nome poco fraintendibile: Siberia, per l’appunto. Più che il loro esordio In un sogno è la mia patria, è stato Si vuole scappare a essere una vera e propria folgorazione: pop intriso di new wave, un bellissimo miscuglio Diaframma/Baustelle. In questo fine 2019, Il loro nuovo album, Tutti amiamo senza fine, che lascia un po’ perplessi.
Nel panorama italiano degli ultimi anni è difficile trovare qualcosa di completo ed essenzialmente bello come Si vuole scappare: un lavoro oscuro, ma paradossalmente pieno di luce, a cui si aggiungono testi notevoli interpretati alla perfezione. Il prototipo dell’album fatto come si dovrebbe fare sempre. Una vocazione autoriale che sa essere trasversale.
Il botto, a livello numerico, quello vero, non c’è stato. Il mercato vuole altro, Si vuole scappare è passato un po’ in sordina. A testimoniare comunque la bravura dei quattro toscani ci hanno pensato i Baustelle portandoseli in tour come apertura ai loro concerti. Tutti amiamo senza fine è una svolta netta nelle intenzioni dei Siberia: un album in tutto e per tutto pop. Bianconi, parlando di quelli che poi sarebbero stati L’amore e La violenza, usava l’espressione album “oscenamente pop”, ma un conto è farlo come l’hanno fatto i Baustelle, un conto come l’hanno fatto i Siberia.
Sì, perché quello che esce di Tutti amiamo senza fine è il tentativo di fare quello che hanno fatto i Baustelle, senza riuscirci, anzi. C’è molto, troppo, del trio di Montepulciano. In maniera preponderante nei brani più incalzanti, da un punto di vista musicale ma a anche a livello di immagini evocate – in “Mon Amour” la voce di Eugenio Sournia canta «E parlavamo di Edith Piaf / Di nostalgia del cinema di Marlon Brando / Del suo ultimo tango/ E delle sigarette dentro al bar»: sembra la parodia di un generatore di canzoni scritte da Bianconi.
Se in Si vuole scappare i Baustelle c’erano, ma in maniera discreta, come bellissima ispirazione, qui sono ingombranti nel loro essere deformati. I Siberia hanno provato a tendere verso un suono più facile, che quantomeno potesse fare presa con un pubblico più ampio: a livello di arrangiamento si vede come abbiano voluto avvicinarsi forzatamente (da cosa?) a qualcosa di più spendibile.
A testimonianza di questo, in alcuni frangenti, ci sono dei riferimenti al vintage anni ottanta di ritorno stile TheGiornalisti/Tommaso Paradiso: il ritornello di “Non riesco a respirare” è lì a dimostrarcelo, come La canzone dell’estate, brano di cui francamente non si sentiva il bisogno.
Perché, Siberia?
Quello che abbiamo tra le mani con Tutti amiamo senza fine è l’ennesima riprova che il mercato si muove per continue semplificazioni. Qui i Siberia fraintendono il messaggio dei Baustelle e vengono risucchiati da un approccio semplicistico a una cosa complessa come il pop.
Tutti amiamo senza fine ha tante canzoncine orecchiabili, si parla di amore declinato in vari modi, ma rimane solo qualcosa da fischiettare distrattamente mentre si fa la spesa.
LA CRITICA
Terzo album per i Siberia, Tutti amiamo senza fine. Poco interessante, soprattutto se messo a confronto con il suo predecessore, Si vuole scappare.
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