“Piccole donne”, ancora una volta
Greta Gerwig alle prese con Louise May Alcott
di Francesco Vannutelli / 7 febbraio 2020
Arrivata alla sua seconda regia dopo il buon successo di critica e pubblico di Ladybird, Greta Gerwig alza l’asticella confrontandosi con il classico per eccellenza della letteratura femminile statunitense: Piccole donne.
L’opera di Louise May Alcott, iniziata nel 1868 e sviluppata poi in quattro diversi volumi fino al 1886, è ormai relegata al non infame rango di lettura per l’infanzia, ma contiene molto di più. C’è un passaggio d’epoca, con le conseguenze della guerra di secessione, c’è la descrizione puntuale dell’adolescenza sia maschile che femminile, c’è la fine della aristocrazia terriera e l’ascesa della città. Le precedenti versioni cinematografiche (una decina tra tv e grande schermo, dal 1918 alla penultima per la BBC del 2017) si sono concentrate sull’aspetto pedagogico del romanzo. Gerwig va oltre e restituisce, nelle intenzioni, grandezza al ruolo di Piccole donne e in senso più ampio di Louise May Alcott nella cultura statunitense.
La storia è quella delle quattro sorelle March, Jo, Meg, Amy e Beth, giovani ragazze nel Massachusetts del 1861. Il padre è al fronte con gli stati confederati, la madre manda avanti la casa tra mille sacrifici e con l’aiuto freddo e distante di una zia ricca e severa. A questo primo piano temporale se ne incrocia un secondo, sette anni più tardi, con Jo a New York che cerca di diventare scrittrice e Amy a Parigi insieme alla zia, tra nostalgia di casa e rimpianti.
Greta Gerwig ha cercato un difficile equilibrio per le sue Piccole donne tra classicismo e modernità. Portando avanti un discorso già iniziato con Ladybird si concentra sulle varie sfaccettature del femminile, in particolare su Jo e Amy, sorelle rivali, diverse e legatissime, ma sempre in conflitto.
Se in Jo è facile leggere, come già nei libri, l’alter ego di Alcott – con ampio spazio alle sue vicende editoriali che richiamano quelle dell’autrice –, in questa versione ci possiamo intuire anche una identificazione della regista. Una giovane donna che non vuole piegarsi alle aspettative sociali e preferisci definirsi in autonomia. Amy, dall’altra parte, sogna l’alta società, i bei vestiti e un matrimonio. Le altre due sorelle, Beth e Meg, rimangono sullo sfondo. Avanza invece Laurie, il giovane vicino timido e riservato, pronto a diventare uno di famiglia.
Quello che Gerwig è riuscita a fare molto bene è rendere la psicologia complessa dei vari personaggi. Le loro fragilità, i loro desideri, sia dei giovani che degli adulti, vengono mostrati con semplice efficacia. Quello che manca, però, è il giusto approfondimento per tutte le piccole storie che vengono solo accennate. Con l’attenzione riservata quasi esclusivamente a Jo e Amy, e alle loro dinamiche con Laurie, le vicende delle altre due sorelle, della madre e degli altri personaggi secondari, rimangono semplici bozzetti che chiamano più spazio.
Peccato, perché questo nuovo Piccole donne ha uno stile interessante e personale – ottimi i costumi – ma dimostra ancora i limiti di una cineasta come Gerwig, intelligente e sensibile ma forse non ancora del tutto strutturata per confrontarsi con un classico della letteratura e con storie meno personali e più corali.
Negli Stati Uniti non sono mancate le polemiche per la mancata candidatura agli Oscar per Gerwig. Sono sei in tutto – miglior film, sceneggiatura non originale, costumi, attrice protagonista e non, colonna sonora –, ed è già un bilancio decisamente generoso.
Ottimo il cast principale, con Saoirse Ronan, già in Ladybird, come Jo e la sempre più lancia Florence Pugh per Amy. Emma Watson, come Meg, conferma come già con La bella e la bestia, di non poter contare su una gamma espressiva molto ampia. Timothée Chalamet continua a costruire con intelligenza la sua carriera. Su tutti, piccole donne e giovani uomini, vegliano Laura Dern e Meryl Streep, sempre eccellenti.
(Piccole donne, di Greta Gerwig, 2019, drammatico, 135’)
LA CRITICA
Greta Gerwig adatta Piccole donne con un buon equilibrio tra classicismo e modernità senza però riuscire a dare il giusto spazio a tutte le storie.
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