Splendido Colombre
A proposito del suo nuovo "Corallo"
di Luigi Ippoliti / 25 marzo 2020
Colombre è il mostro marino uscito dalla testa di Dino Buzzati nel 1961. Un mostro marino che perseguita i marinai fino alla morte in un racconto bellissimo e inquietante. Senza un finale altrettanto tragico, le canzoni dell’artista marchigiano, che oggi torna con Corallo, hanno la capacità di seguirti un po’ ovunque, di apparirti in testa da un momento all’altro. Già con Pulviscolo, il suo album d’esordio, ci trovavamo di fronte a qualcosa che era più di un semplice buon album d’esordio.
Un lavoro brevissimo che parlava di cose piccole. 25 soli minuti per descrivere i mondi perfetti-imperfetti che si porta appresso la memoria. Una scrittura secca e diretta, tra Belle and Sebastien e Baustelle. Un pop soffice, malinconico, intriso di turbamento e disagio esistenziale.
Corallo pare un’evoluzione del suo precedente: meno minimalista, cerca di andare a toccare ciò che prima non aveva bisogno di toccare. Gli universi di cui parlare, da ricordare, da tenere fissi nel presente, si sono espansi. Anche oggi i Baustelle sono presenti, quelli di Sussidiario illustrato della giovinezza, punti di contatto con certi ghirigori vocali alla Lucio Battisti, fino a un modo di fare simil Alan Sorrenti. Ma anche richiami eterei al Moby di “Porcelain“.
I rimandi a un passato più o meno recente, sì, ma anche qualcosa di estremamente attuale. Più che Calcutta, Colombre pare specchiarsi in Giorgio Poi. Ma in un Giorgio Poi meno lisergico, più immerso nelle cose tangibili. Colombre è qui di fronte a noi, l’autore di Smog da qualche altra parte, fuori. Ma un comune denominatore li avvicina. Quello forse di trovare una nuova chiave interpretativa dell’itpop.
Colombre, allo stesso modo di Giorgio Poi, è passato per l’itpop. Si è immerso in quell’acqua torbida, ne è uscito, ha provato a scollarsi di dosso tutto, senza riuscirci completamente. Ma questa sorta di battesimo più o meno volontario, comunque, è stato importante per avere coscienza e per prendere le distanze dall’omologazione. Qualche residuo è rimasto: la parte migliore dell’itpop, che in Corallo si incastra alla perfezione in un universo sonoro e lirico che suona come un rendere attuale una certa nicchia di primi anni del duemila. Se non solo i già citati Baustelle, i Virginiana Miller (La verità sul tennis, per esempio).
Corallo è un lavoro che offre una seconda prova di quanto Colombre sia un artista estremamente valido. Chissà cosa sarebbe stato in epoche diverse, pre social e pre iper connettività. Perché è materiale la sensazione di avere a che fare con un album di un paio di decenni fa, paradossalmente vicinissimo a come dovrebbe essere interpretata, oggi, la musica pop. Perché basta ascoltare la combo “Mille e una notte” e “Arcobaleno” per capire quanto Corallo sia una piccolissima e gigantesca pietra preziosa.
LA CRITICA
Tre anni dopo “Pulviscolo”, Colombre si conferma con “Corallo”. Davvero notevole questo suo ultimo lavoro, che abbraccia i Baustelle, Giorgio Poi e Moby. Abbiamo bisogno di più Colombre.
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