Prima prova senza i Radiohead per Ed O’Brien
A proposito di Earth
di Luigi Ippoliti / 22 aprile 2020
Ed O’Brien, ovvero la malinconica storia dei grandi numeri due, in questo caso del numero tre. Perché certo, Thom Yorke e Jonny Greenwood, ma senza di lui, eminenza grigia alle loro spalle, la storia forse sarebbe stata diversa. Se in un brano manca una nota, lui farà quella nota. Lui è quello che amalgama il suono, facendo il lavoro sporco. Ed O’Brien è sempre pronto a fare la cosa meno appariscente, ma fondamentale: se c’è da suonare la cabasa nella prima parte di “Paranoid Android“, lui lo fa. C’è da suonare il tamburello per tutta la durata di “Reckoner“? Nessuno problema. Ed O’Brien, quello che smanetta con i pedali, quello che aiuta Thom Yorke con le back vocal. Ed O’Brien, che per l’occasione si fa chiamare EOB, esce con il suo primo album da solista, Earth.
Tempo fa, il chitarrista del gruppo inglese usò una metafora calcistica piuttosto calzante: paragonando i Radiohead al Manchester United, diceva che Ronaldo e Rooney sono Thom Yorke e Jonny Greenwood. Mentre a lui piaceva pensarsi come Paul Scholes. Ma Paul Scholes di talento ne aveva, e non poco. In questo paragone calcistico, paradossalmente, si capisce anche il tipo di intento che c’è dietro Earth. Un lavoro cerebrale, eclettico nel suo essere ponderato. Earth esce come profonda necessità di far emergere quello che in trentacinque anni di carriera è rimasto ingabbiato nell’universo Radiohead.
La gestazione è stata piuttosto lunga: è dal 2012, da un suo viaggio in Brasile, che quello che poi sarebbe diventato il suo primo album solista gli girava in testa. Il risultato, sorprendente, esce in questo 2020. Sorprendente perché lo mettiamo sempre in paragono con gli altri due Radiohead, ma Ed O’Brien è un musicista importante e per per l’occasione ha potuto contare su una squadra notevole: come produttore, Flood, Adrian Utely dei Portishead, Glenn Kotche dei Wilco, Colin Greenwood e, nell’ultima “Cloack of the Night”, la voce di Laura Marling.
Mentre i suoi colleghi vanno nella direzione di Flying Lotus e di Olivier Messiaen, lui prende spunto dagli anni ottanta e dai novanta, in particolare Scrimadelica dei Primal Scream. Earth è un interessante lavoro dove il folk va a mischiarsi con una dance controllata che sgorga in momenti di rock e alternative rock, dando vita a un album in continuo mutamento, dove il suono prende delle sterzate improvvise attraverso soluzioni non scontate. I brani, anche al loro interno, vivono di metamorfosi a intermittenza, andando spesso a rompere gli schemi classici della forma canzone. Su tutti “Brasil” (dove a un certo punto veniamo catapultati in mezzo a un concerto dei Depeche Mode) e “Olympik” (quest’ultima forse vetta e manifesto di Earth), ma da non sottovalutare il microuniverso da classic ballad folk di “Long Time Coming”.
Earth, in definitiva, sarebbe la perfetta colonna sonora che riecheggia per le spiagge di un Brasile abitato da strani uomini robot. Earth è un primo tassello per Ed O’Brien, che da ora può iniziare un discorso sulla sua propria visione delle cose. Earth è il motivo per cui i Radiohead sono diventati i Radiohead e ora non ci aspetta che un ultimo regalo: dopo il suo lavoro in solitaria, quelli di Thom Yorke, Jonny Greenwood e Phil Selway, aspettiamo con ansia quello di Colin Greenwood.
LA CRITICA
Primo album solista per Ed O’Brien, in questo caso con il nome EOB. Earth è un buonissimo album di un artista poco appariscente, ma che nella sua carriera con i Radiohead è stato probabilmente l’arma segreta di un gruppo del genere.
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