Sedurre per noia

“Passioni” di Henry Green

di / 3 giugno 2020

copertina di passioni di henry green

La borghesia non ama, desidera solo ciò che non può avere. A insegnarcelo sono stati in molti: sicuramente Claude Sautet, che spesso nei suoi film osservò l’intimità della disaffezione alla giusta distanza, quella necessaria a svelare il vuoto senza, però, mai mostrare l’orrore. L’inerzia dei sentimenti raccontata dal regista francese fa arrossire il volto e gela l’anima, ma regala anche l’ingannevole quanto prezioso conforto del distacco. In fondo si tratta di saper misurare gli spazi, di avvicinarsi con discrezione alla vita delle persone, senza mai invadere i luoghi con la propria presenza: una lezione di stile che anche lo scrittore inglese Henry Green ha impartito al mondo.

Il suo Passioni (Einaudi, 1990, ed or. 1952) è un libro di circa duecento pagine, che andrebbe letto come un testo teatrale, tanto è lineare e scarno nella trama. Protagonisti una coppia borghese, i Middleton, il loro figlio Peter, la giovane Annabel e la sua confidente, e infine Charles, l’amico affascinante della coppia: sei personaggi di cui non occorre ricordare i nomi, né tantomeno sapere granché. Tutto quello che è necessario conoscere, è solo quel poco che lo scrittore sceglie di svelare: e lo fa attraverso dialoghi misurati e incessanti, in cui la forza latente del tacere è forse più potente della parola stessa. Arthur Middleton è un uomo di mezz’età annoiato, convinto che la cura al male di esistere sia piacere alla giovane Annabel, invitarla a pranzo e cercare maldestramente di sedurla attraverso il fragile fascino dell’età e del denaro. La terapia funziona finché l’indolenza dei gesti distrae, ma quando i sentimenti reclamano il loro posto, il malessere ritorna.

La pausa pranzo raccontata da Green, teatro di effimeri quanto realistici tentativi di corruzione dell’anima, conserva tutta la leggerezza descritta da Frank O’Hara che del pasto di mezzogiorno ci restituì una fotografia nitida nella sua raccolta Lunch Poems (1964). In Passioni manca, però, la purezza del rituale, tanto cara al poeta americano: i pranzi consumati da Arthur e Annabel, infatti, tradiscono sempre un desiderio artato e vile, capace di offuscare l’innocenza dei gesti. Ritorna alla mente, allora, l’erotismo prandiale di Éric Rohmer nel suo film L’amore il pomeriggio (1972): anche in quel caso la perfezione della coppia borghese, incrinata dal desiderio improvviso, si interrogava sul bisogno di vivere solo di primi amori e di attese lusinghiere; nonché sul desiderio del protagonista maschile di lasciarsi affascinare da tutte le donne incontrate, senza mai dover mostrare le proprie ombre.

In Passioni scompaiono per un attimo le riflessioni morali di Rohmer: la borghesia di Green non conosce né luce, né oscurità: riesce solo a mentire, ritirarsi in casa, e indossare nuove maschere. Nessuno di loro sfugge all’inedia, né tantomeno alle colpe dell’infedeltà. Fin qui potrebbe sembrare una storia raccontata da James Salter, che del male agiato fece anche lui un ritratto intenso e impietoso nel suo Una perfetta felicità (Guanda, 2015): ma da buon inglese Green elimina il disagio e la profondità esistenziale, per concentrarsi solo sull’asciuttezza della forma. Il vuoto, in questo caso, non consuma l’anima, ma si limita a nutrire taciuti rancori. I tradimenti e le bugie, in realtà, non creano dolore: leggendo Green i nostri volti arrossiscono sì, ma per l’imbarazzo: l’inettitudine, i goffi tentativi di simulare la passione (godibilissime le pagine in cui Arthur cerca di sedurre Annabell in salotto), le confidenze velate, le codardie di coppia, lontane quest’ultime dall’essere tradotte in corrosivi dialoghi coniugali, strappano sorrisi sinceri ma discreti. Henry Green è, perciò, in questo senso uno scrittore misurato, abile nel costruire conversazioni precise e intrise di noia.

Non troverete in questo romanzo la carnalità voracemente esposta dal regista Peter Greenaway (anche lui inglese) in Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante (1989), che del tradimento ha saputo restituirci la sua ventrale barocca gravità. Non troverete neppure la violenza, i sospetti e le illusioni infrante. La prosa di Green, infatti, non si lascia mai sopraffare, né contaminare dalla forza della passione, perché osservare l’incapacità di amare esige sempre una giusta, borghese, misura.

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