L’Africa come non l’abbiamo mai considerata
“Akuaba” di Francesco Staffa
di Antonella De Biasi / 17 novembre 2020
«Non è semplice spiegare il mistero degli eventi, non tutto può essere detto. Ci sono segreti che non si possono svelare, azioni da compiere».
Akuaba (D editore, 2020), il romanzo di esordio di Francesco Staffa, racconta le conseguenze di un neocolonialismo spietato, intrecciandolo alle vicende umane dei suoi protagonisti, intrisi di passioni, ambizioni e sensi di colpa. Sul filo biunivoco delle azioni, il romanzo infatti ha il manto del noir e al contempo tira fuori ciò che si cela nel profondo.
In una Nigeria devastata dalla presa del potere del generale Buhari, dopo il boom finanziario e petrolifero del paese e dopo la bancarotta, tre coppie si muovono con i loro destini liquidi, in cerca di salvezza, espiazione, affermazione.
«Forse un giorno avrà la mente libera. Pacificata. Si sarà scrollata di dosso la colpa. Quando le onde e il cielo stellato inghiottiranno la casa e la sabbia sottile si stenderà paziente a coprire ogni cosa. Quando solo il lamento incessante dei gabbiani echeggerà sopra gli altri suoni. Forse quel giorno, anche il ricordo si estinguerà e il rimorso cesserà di bruciare».
Affrancarsi dal dolore e pacificare il cuore rappresentano i punti nevralgici delle tre coppie protagoniste, Ada e Guido, Fabiénne e Franco, Amma e Adebisi: sei personaggi differenti per struttura e percorsi, ma soprattutto per desideri.
Nel romanzo i loro desideri e le loro pulsioni si intrecciano alla Storia in un plot narrativo coinvolgente e illuminante: ogni volta che un piano temporale cede il passo a un altro, si apre una traccia narrativa nuova, che svela come tutti i pezzi combaciano.
Franco e Fabiénne vivono una relazione tormentata, Guido e Ada li raggiungeranno – loro, una diade apparentemente più onesti e con una vita meno “corrotta” rispetto a quella dell’altra coppia, invischiata nelle dinamiche delle compagnie petrolifere. «Partirono entrambi, lui e Ada. Un diversivo dalla solita routine e un modo speciale per brindare al nuovo anno. Franco viveva in Nigeria da più di dieci anni. Dopo la sanguinosa guerra che si era conclusa nel 1970 approdò nel paese in un momento florido, in cui il prezzo del petrolio era in crescita». Amma e Adebisi invece sono divisi dagli avvenimenti ma avranno un ruolo importante e centrale fino alle ultime pagine del libro.
L’intreccio si nota subito: la Storia si lega alle ambizioni di coloro che, per assecondare i propri voleri, sono disposti a qualsiasi cosa.
L’articolo uscito su l’Unità il 27 gennaio 1983 conferisce al romanzo un taglio cronachistico: il lettore pensa istintivamente che sia tutto successo sul serio, che l’autore narra una storia che è parte della Storia: la fine del mito del petrolio in Nigeria, con l’aeroporto di Lagos paralizzato e le sedi delle ambasciate intasate. «Sullo sfondo due milioni e mezzo di disperati in cerca di un posto dove sopravvivere»: ed è appunto per cercare di sopravvivere che Amma diverrà una delle schiave sessuali, costrette a dare i propri figli come merce.
Il tema della maternità sfruttata, desiderata, intrecciata alla ritualità africana è un contraltare profondo; la foresta di Osogbo è un luogo primitivo e magico, dove chi non riesce ad avere figli si affida alla vecchia sciamana, la babalawa. Una maternità che scandirà il tempo del romanzo, intervallando l’atmosfera rituale e magica, a quella dura della cospirazione: un equilibrio sottile tra l’odore della placenta e quello del petrolio, dei documenti falsi.
Akuaba è un romanzo mosaico formato da una serie di tasselli che insieme prendono una forma sempre più decisa, via via che la narrazione prosegue, per il lessico diretto e tagliente, e per l’analisi dei protagonisti che lo abitano, con i loro intrighi, le loro debolezze.
La novità narrativa di Akuaba è nella descrizione di una realtà tremenda, fatta di compromessi, affari, desideri privati, nella cornice africana che non serve meramente da set esotico e linguistico, come spesso succede, ma è appunto il teatro degli avvenimenti.
«L’Africa, più familiare degli altri continenti, solo perché immediatamente situata sotto l’Europa, ovvero ciò che ci hanno insegnato a considerare il centro del mondo, metro da cui misurare la distanza con le altre terre».
L’autore ha scelto di raccontarla in questo modo, scavalcando la retorica e affidandosi a una chiave alternativa che trasmettesse le contraddizioni del neocolonialismo e mettesse in luce il modo in cui noi occidentali viviamo il fenomeno dell’immigrazione, come un affronto. Akuaba accende i riflettori su un razzismo più edulcorato e nascosto, più istintivo e meno elaborato, che viene dal non aver riflettuto su certi aspetti.
Un’elaborazione che gran parte degli intellettuali italiani sta facendo solo ora, con i flussi migratori, il mondo sempre più connesso eppure slegato, ad anni di distanza da Ennio Flaiano, il solo che già nel dopoguerra si interrogava sui crimini degli “italiani brava gente”. O potremmo dire adesso degli “europei brava gente”.
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