10 anni di Wow dei Verdena
La grandezza del trio di Bergamo
di Luigi Ippoliti / 22 gennaio 2021
Il 2011 è stato la svolta per la musica italiana. Il 3 giugno di dieci anni fa, infatti, usciva ciò che ha dato il via a quella mutazione antropologica della musica indie che ha segnato l’ultimo decennio: dopo il Il sorprendente album d’esordio dei cani non saremmo più potuti tornare indietro.
Sei mesi prima, precisamente il 18 gennaio, I Verdena decidevano di far uscire con Wow un doppio album di 27 tracce. Al di là dei simbolismi (scelte contro intuitive di mercato rispetto a come poi l’indie stesso si sarebbe piegato a esse), I Verdena erano arrivati al punto di potersi giocare una carta del genere mentre i tempi per la nicchia-alternative stavano cambiando per sempre.
Imparagonabili certamente i Verdena con Calcutta e i vari epigoni, chiaro. Ma forse diamo istintivamente per buono che i Verdena si debbano comportare così, che siano altro in maniera ontologica rispetto a ciò che succede. Non che si sarebbero trasformati in una sorta di Ex-Otago, ma magari qualche posizione ideologica si sarebbe potuta alleggerire. E invece no.
Quello che è accaduto da Wow è un manifesto di indipendentismo e di forza davvero notevoli. I Verdena non hanno mai dato motivo di dubitare della loro intransigenza e ciò che lo rappresenta in maniera più esplicita è attraverso ciò che non è mai accaduto: la produzione qualsiasi di un loro album che potesse strizzare l’occhio a certe mode del momento. I Verdena andavano e vanno avanti per la loro strada incuranti di tutto e tutti.
La sensazione, più che giustificata, è quindi che i Verdena siano stati sempre al di fuori da tutto quello che accadeva e che accade. C’è però un intoppo. Un fatto accaduto verso la fine dello scorso anno: l’episodio di Alberto Ferrari a XFactor. Nel momento in cui l’abbiamo visto sul palco di Sky è sicuramente successo qualcosa. Il muro che (teoricamente) ancora separava un certo mondo da un altro, magari non è stato buttato del tutto giù, ma una bella picconata l’ha sicuramente presa. Nulla di trascendentale o di eccessivamente scandaloso il fatto in sé, ma qualsiasi siano state le motivazioni (di carattere economico o l’amicizia con Agnelli o qualsiasi altra cosa), per la prima volta i Verdena sono sembrati dei non-alieni.
Dieci anni fa comunque Wow usciva dopo che il suono dei Verdena aveva preso una direzione ben precisa con Requiem, seguito non-ovvio de Il suicidio dei Samurai. Con quest’ultimo avevano scritto uno di quegli album perfettamente incastonabili nella tradizione alternative italiana, tra Afterhours e Marlene Kuntz, raggiungendo la summa della loro produzione giovanile.
Requiem è l’inizio di un nuovo discorso complesso, ancora più cupo che in precedenza. Il suono si fa più massiccio, le tastiere di Fidel lasciano spazio a qualcosa di intrinsecamente più muscolare. Ma risulta, nonostante comunque la lunghezza, ancora intellegibile.
Wow è, invece, un album diluito in uno spazio-tempo che cambia costantemente, in un dedalo di soluzioni difficilissime da assemblare, ma che I Verdena riescono a legare con grande naturalezza. Ma ce ne accorgiamo solo in un secondo momento. Forse in un terzo. Non è facile da afferrare e decodificare subito. Stargli dietro. È un lavoro per cui c’è bisogno di molta pazienza prima che si manifesti come un unicum e non come una somma di allucinazioni sonore.
Qui, poi, il cut up di Alberto Ferrari risulta ancora più fondamentale rispetto al passato. Come in tutta la produzione Verdena, la peculiarità è quella di fare dell’italiano qualcosa di diverso dall’Italiano delle canzoni a cui siamo abituati. Il significato lascia spazio completamente al significante e alla forza del suono, andandosi a mischiare indistintamente tra i riff di chitarra, il basso e la batteria. Siamo forse al suo apice.
Wow è un miracolo che si muove su un sottile equilibrio che non dà mai la sensazione di poter venire meno. C’è una mole di idee enorme: si spazia dallo stoner al grange, dal pop alla psichedelia. Al suo interno troviamo un po’ di tutto. L’eco dei Police in “Castelli per aria” e “Razzi Arpie Inferno e Fiamme” che sembra esser stata scritta da Ferrari dopo aver spiato le registrazioni di In Rainbows dei Radiohead; “È solo Lunedì” pare un pezzo dei Mew pensato in una Danimarca in piena rivoluzione guidata dai Queens of the Stone Age, mentre Le scarpe volanti è uno strano miscuglio del Battisti-Panella e di Battiato.
“Loniterp” unisce chitarre indie alla Bloc Party a qualcosa che somiglia a “Il suicidio dei samurai“. “Miglioramento” vive su una linea di basso che sembra scritta dai Queen per poi trasformarsi in un qualcosa di molto simile agli Arcade Fire. Il tutto è poi legato da un’idea ben precisa, in un continuo dialogo che si fa più sciolto attraverso pezzi non pezzi come “A Cappello”.
Forse diamo sempre un po’ troppo per scontato i Verdena, la loro grandezza e il loro genio. Oggi, più che dieci anni fa, Wow emerge come un monolite della produzione musicale italiana.
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