Cosa ci lascia Brigatabianca di Samuel?
Secondo album solista per il frontman dei Subsonica
di Luigi Ippoliti / 27 gennaio 2021
Samuel aveva già scritto un album solista, Il codice della bellezza, nel 2017. I risultati non erano stati esaltanti. O almeno non per quello che rappresentano storicamente i Subsonica. La flessione del gruppo di Torino è tangibile e questo non può che riversarsi sul suo progetto in proprio. Cambiare aria non è servito. Oggi comunque ci riprova e fa uscire Brigatabianca.
L’album vede diverse collaborazioni e i nomi non sono casuali. Willie Peyote, Ensi, Johnny Marsiglia, Fulminacci. Dovrebbe essere un trampolino di lancio per gli ospiti – dei più o meno giovani ospiti – come si potrebbe pensare. Invece la sensazione che si ha è che Samuel (l’entourage, la Sony) li abbia buttati in mezzo come ancora di salvataggio per lo stesso Samuel, che dall’acqua sembra invocare aiuto gridando “Ragazzi, esisto anche io, ricordatevi di me”.
Il risultato che esce è un lavoro piuttosto scollato, con pochissime intuizioni rilevanti, dove emergono quelli che sono sempre stati un po’ i limiti nella scrittura di Samuel. In passato (Subsonica, Microchip emozionale) venivano calibrati da un impianto sonoro di livello. Oggi tutta la sua retorica sprofonda in un oblio da cui sarà difficile uscire fuori.
Quello che si nota è un tentativo di Samuel di calcare un terreno già battuto vent’anni fa, ma da un’altra prospettiva: quella cosa che era riuscito a fare nel 2000 (Sanremo, “Tutti i miei sbagli“), far conoscere un intruglio elettropop nel mainstream in Italia, oggi, 20 anni dopo, non funziona.
In Brigatabianca si fa trascinare da un tentativo di stare al passo coi tempi che rasenta il ridicolo. Un pasticcio che unisce componenti vecchie confuse per attuali, roba radiofonica, elettronica stanca, duetti fini a loro stessi. Ramazzotti che viene inglobato dal raggaeton: Samuel che ci casca per provare a cambiare muta ed essere ok per il presente non è un’ipotesi così remota.
Ne Il codice della bellezza c’è stata una grossa mano di Jovanotti. Oggi la scelta per stare sul pezzo, legandosi comunque in qualche mondo con l’ex rapper, non poteva che ricadere su Willie Peyote, suo erede anti intuitivo. Il risultato, “Giochi pericolosi“, è un pezzo che il Jova avrebbe potuto scrivere per una playlist chill out sponsorizzata da Tezenis. Niente di più.
“Bum Bum Bum Bum”, scritto con Ensi, è qualcosa che non ci meritavamo. Sia perché all’interno di quest’album non ha nessun motivo artistico per apparire, completamente lontano da tutto, sia perché Samuel ha rappresentato qualcosa di importante e una cosa del genere suona come un insulto. Il pezzo spagnoleggiante con Johnny Marsiglia, poi, “Palermo“, con un testo pseudo distopico, avrebbe avuto bisogno solo di un video stereotipato sessista con i maschi che fanno i maschi e le femmine che fanno le femmine per essere completo al 100 per 100. L’invocazione a Santa Rosalia, poi, rende il tutto perfettamente trash.
In questa confusione c’è un episodio che sfiora il comico: “Dimenticheremo tutto“. Un pezzo in levare che sembra scritto da Pop x, cantato da Pop x, con un testo di Alessandro D’avenia. Solo che l’autore di Lesbianitj vive tra l’essere artista provocatore e troll vero e proprio, e a lui questo ruolo calza in maniera perfetta, mentre su Samuel è come vestirsi da coniglio in un conclave.
Due sono gli episodi degni di nota : “Quella sera” e “Io e te” . Il primo vive su una strofa ubran, estremamente scura, che però viene soffocata da un ritornello che ribalta il senso del pezzo e l’effetto che produce è quello di qualcosa che sarebbe potuto essere davvero valido e si accontenta di essere uscito monco. Nonostante questo squilibrio, comunque, è qualcosa che ha motivo d’essere. Il secondo è il migliore del disco, l’unico che sembra una canzone vera e propria – e sarebbe stata un’altra storia se la strada intrapresa da Brigatabianca avesse avuto lei come spirito guida. È l’unico momento in cui Samuel pare realmente concentrato sulla canzone e su nient’altro. Un peccato, se si guarda tutto quello che ha attorno.
Poi c’è “Tra un anno“, con le sue chitarre simil indie primi Strokes e un testo sempre troppo piatto, dove le scelte formali hanno attutito la forza del significato che il brano si porta appresso, intriso di una dose di malinconia per un futuro di cui non sapremo mai nulla. C’è però qualcosa di vero dietro il pezzo, che vibra come il resto non riesce a fare.
Solo un anno fa usciva Mentale Strumentale, del 2004, lasciato nel cassetto per troppo tempo, dove vediamo appieno le qualità dei Subsonica e di conseguenza di Samuel. Oggi il leader di uno dei più grossi gruppi italiani degli ultimi 20 anni sembra non avere più molto da dire e da dare.
LA CRITICA
Con “Brigatabianca” Samuel non riesce a trovare una chiave di lettura convincente. Sembra in un limbo tra quello che è stato con i Subsonica e un presente che non riesce a fare suo in maniera funzionale.
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